Circo con animali: qual è l’impatto di questi spettacoli su bambine e bambini?

Lo abbiamo chiesto ad Annamaria Manzoni, psicologa, psicoterapeuta, attivista per i diritti degli animali e autrice e promotrice del “Documento di psicologi sulle valenze anti pedagogiche dell’abuso degli animali in circhi, spettacoli e manifestazioni”.
Andrea Izzotti/ iStockphoto
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A Natale avevamo evidenziato l’arrivo dei circhi in molte città italiane. Le performance sono immaginate come un regalo per i più piccoli, un modo per trascorrere insieme il tempo a disposizione con figlie, figli e nipoti. Probabilmente ancora in pochi si chiedono se mostrare degli animali in gabbia e costretti ad esibirsi in comportamenti che non appartengono alla propria specie non sia effettivamente uno spettacolo adatto per lo sviluppo dei più piccoli.
Nel 2008, Annamaria Manzoni, psicologa, psicoterapeuta e attivista per i diritti degli animali, scrisse e divenne promotrice del Documento di psicologi sulle valenze anti pedagogiche dell’abuso degli animali in circhi, spettacoli e manifestazioni, menzionato anche nel report sugli animali selvatici nei circhi europei di Eurogroup for Animals. A distanza di alcuni anni, alla luce dell’ulteriore rinvio del divieto di circhi con animali in Italia, le abbiamo chiesto di raccontarci del documento e del suo punto di vista sull’impatto di questi spettacoli su bambine e bambini.

Come nasce il Documento di psicologi sulle valenze anti pedagogiche dell’abuso degli animali in circhi, spettacoli e manifestazioni e cosa dichiara?

Il documento parte da una considerazione generale, vale a dire che la relazione con gli altri animali, che è un bisogno profondo della nostra specie, in grado di incidere profondamente sul piano cognitivo ed emotivo, risulta fondamentale anche nel percorso di crescita dei bambini.
A questa relazione, su cui gli psicologi, per loro stessa formazione, avrebbero il dovere e la responsabilità di esprimersi, fino a non molto tempo fa è stata assicurata una scarsa attenzione: considerato che il rapporto con le altre specie è spesso connotato di violenza, di una componente drammatica, pervasiva nei nostri comportamenti, l’omissione risulta particolarmente grave.
Per quanto le forme di violenza sugli animali siano infinite, mi è parso comunque basilare almeno “smascherare” quelle forme di mistificazione a cui i più piccoli vengono esposti, ossia quelle situazioni in cui la prepotenza e la sopraffazione inflitte dagli umani, il dolore e la sofferenza subiti di conseguenza dagli animali, vengono dissimulati, trasformati nel loro contrario e proposti ai bambini come occasioni di gioioso divertimento. Il riferimento è a contesti di cui i bambini stessi costituiscono il pubblico privilegiato: quindi circhi, zoo, manifestazioni varie che abusano di animali, non rispettati nelle loro esigenze etologiche, privati della libertà, costretti a comportamenti innaturali.

Chi ha firmato il documento?

Nonostante non vi sia stata diffusione da parte istituzionale, vale a dire degli ordini professionali, i colleghi che hanno sottoscritto il documento sono stati circa 800, numero da non sottovalutare viste anche le diffuse esplicite o implicite ritrosie ad esporsi. Assolutamente fondamentale, al di là dei numeri, risulta comunque la grande autorevolezza dei primi sottoscrittori, che ho personalmente contattato: tra loro figurano docenti universitari di enorme prestigio, esperti italiani e stranieri di temi della violenza, responsabili di centri per la prevenzione e il trattamento dei traumi, studiosi dei percorsi articolati e spesso disconosciuti che portano all’emergere di comportamenti antisociali, conosciutissimi divulgatori di teorie strutturatesi nel corso di lunghi lavori in commissioni parlamentari per l’infanzia.

Quali potrebbero essere le conseguenze del circo e di altri spettacoli che sfruttano gli animali sull’educazione dei più piccoli?

Il circo esibisce animali che non sono adeguati al contesto ambientale e climatico a cui sono costretti. Li vede obbligati a performance innaturali, dal momento che in natura gli orsi non vanno in bicicletta, gli elefanti non stanno ritti sulle zampe posteriori, i cavalli non tollerano di essere montati da tigri che sono loro predatori, i leoni non mantengono le fauci aperte e immobilizzate con la testa del domatore infilata dentro né attraversano cerchi infuocati. Sul piano cognitivo si danno ai bambini informazioni false su ciò che quegli animali sono e sul loro comportamento: quello esibito nei circhi, in realtà, è ottenuto solo attraverso metodi di ferocissimo ammaestramento, che per altro sono conosciuti da chiunque non voglia girare la testa dall’altra parte. Ma persino più grave è la diseducazione all’empatia, perché i bambini sono indotti a non cogliere o comunque a disinteressarsi ai segnali di sofferenza che gli animali inviano. Tutto l’apparato intorno, musiche, colori, lustrini, incitamento del pubblico all’entusiasmo e all’applauso, contribuiscono a un enorme fraintendimento di ciò che sta avvenendo. La figura del domatore viene mistificata in quella di uomo coraggioso e va perso il significato stesso del verbo domare, che fa riferimento a un’azione tesa a spegnere gli istinti vitali, ad annullarli per paura e per dolore. La muscolatura ostentata dal domatore ne sostiene la connotazione da macho strappa-applausi e non sollecita il biasimo che lo spettacolo del dominio e dell’oppressione su esseri soggiogati dovrebbe mobilitare. La frusta, che è una sorta di sua propaggine ineludibile, non viene colta nella sua realtà di strumento minaccioso, atto a risvegliare negli animali la memoria delle ferite già subite, ma semplice accessorio sibilante. A buon completamento, i bambini in genere sono condotti, nell’intervallo tra i due tempi o a fine spettacolo, a vedere da vicino gli animali in gabbia: prigionieri senza colpa, che possono esprimere il loro disagio con andirivieni ossessivi o dondolii o grida lanciate nel linguaggio della loro specie. I genitori li accompagnano in un fugace passaggio completato da qualche distratto commento. Dal momento che sono loro ad averci portato i figli, di certo non li aiuteranno a cogliere la grande ingiustizia in atto, a decodificare i segnali di rabbia o rassegnazione che riempiono quelle gabbie. Non solleciteranno da parte loro l’unica domanda sensata, vale a dire Che ci fanno qui?. Parafrasando le parole della studiosa di elefanti Gay A. Bradshaw, queste gabbie diventeranno educative solo quando verranno mostrate vuote, in una sorta di pellegrinaggio tra le tante crudeltà del passato, a monito di non vederle mai più ripetute.

In tutto questo ci sono bambini dotati di particolare sensibilità che sono in grado, nonostante tutto, di rendersi conto della tristezza dell’animale che hanno di fronte, anche solo guardandolo negli occhi, e di sentire su di sé la sua sofferenza. Ma tutto l’apparato spinge verso reazioni diverse. Insomma: se l’educazione è o dovrebbe essere prima di tutto insegnamento al rispetto per l’altro, qui va invece in onda una forma di diseducazione, in direzione contraria all’insegnamento dell’empatia, che è quella capacità di sintonizzarsi sulle emozioni e lo stato d’animo dell’altro, in una sorta di risonanza emotiva.

Cosa si dovrebbe, invece, mostrare per avvicinare le bambine e i bambini a un rapporto più sano con gli animali e la natura?

I bambini hanno un’innata e fortissima attrazione verso il mondo degli animali e godono altresì nello stare immersi nella natura, sui prati, al mare, nei boschi. È quindi facile il compito di sostenere e amplificare queste predisposizioni, favorendo per esempio l’osservazione e la comprensione dei comportamenti degli animali quando sono liberi di esprimersi: lo si può fare con quelli che vivono in casa e, magari, con quelli ospitati nei santuari. Si può allargare la conoscenza di quelli che non sono facilmente raggiungibili con i documentari e con le informazioni affascinanti che gli studiosi, gli etologi in primis, mettono a disposizione aprendo mondi nuovi. È necessario, soprattutto, incentivare l’abitudine a guardare esseri di altre specie con il rispetto necessario, apprezzando la ricchezza che deriva dalla diversità. Discorso che, per altro, si adatta perfettamente al rapporto con gli individui della nostra stessa specie che, quando diversi per colore della pelle o abitudini o qualsivoglia altro tipo di caratteristiche, spesso consideriamo altri da noi, da relegare fuori dal contatto con le nostre vite, perché facciamo coincidere il concetto di diversità con quello di inferiorità.
In tutto questo non si può far finta di pensare che il mondo sia popolato da persone rispettose, consapevoli, empatiche, in grado di essere apprezzabili maestri di vita per i più giovani: si può insegnare solo quello che si sa e si offrono come modelli i comportamenti che ci sono abituali. Lo stato delle cose su questo nostro sgangherato pianeta non permette esagerato ottimismo.
Contemporaneamente, a un progressivo affinamento dei costumi, si deve allora poter contare anche sull’operato dei legislatori, che non possono essere retroguardia culturale: a loro il dovere di superare la timidezza e la ritrosia al cambiamento che troppo spesso li definiscono, e di promulgare le necessarie leggi che progressivamente verranno vissute come proprie e introiettate anche da chi è più refrattario a modificare i propri comportamenti. Niente di sconvolgente: è già successo in molti Stati che hanno posto fine allo sfruttamento degli animali nei circhi senza bisogno di dare vita a una rivoluzione. L’Italia davvero dovrebbe ribellarsi alla sua attuale posizione di fanalino di coda.

A conclusione di questa veloce analisi, mi piace dedicare un pensiero di enorme apprezzamento a tutti quei lavoratori dei circhi che già propongono al pubblico le loro straordinarie abilità, frutto di un durissimo lavoro su se stessi, non certo dell’esercizio di forme di dominio, oppressione, umiliazione su altre specie animali.

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