Aviaria: come ti fabbrico la psicosi e ti vendo il vaccino

Le strategie di Big Pharma che ha agito senza scrupolo verso umani e animali per aumentare i propri introiti

La Procura di Roma ha appena notificato l’avviso di conclusione delle indagini, che anticipa la richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti di 41 soggetti, coinvolti a vario titolo in una complessa operazione criminale che avrebbe portato milioni di euro nelle casse di due colossi farmaceutici, la Merial (ramo veterinario della Sanofi, la produttrice del famoso FrontLine) e la Fort Dodge Animal. Secondo l’accusa, le due società avevano stretto un cartello di fatto per la vendita di vaccini veterinari per la cura dell’influenza aviaria.

Le indagini, condotte dei carabinieri del Nas, sono partite dall’importazione illecita di alcuni ceppi del virus dell’influenza aviaria, che sarebbero stati utilizzati per sviluppare e testare clandestinamente dei vaccini, ottenendo poi l’autorizzazione alla messa in commercio senza i controlli necessari e battendo quindi sul tempo la concorrenza.

I vaccini, prodotti senza alcuna autorizzazione, sarebbero starti testati al di fuori di ogni controllo, provocando la diffusione non controllata della malattia negli allevamenti dell’Italia settentrionale e la conseguente morte di milioni di polli e tacchini, in parte deceduti per le conseguenze dell’influenza aviaria ma in gran parte abbattuti su ordine delle autorità sanitarie. Stando alla relazione dei Nas, questa spregiudicata operazione avrebbe comportato un serio pericolo di trasmissione del virus anche negli esseri umani, che per fortuna non avvenne.

Ma vi è di più: approfondendo l’esame delle risultanze inizialmente raccolte, gli inquirenti sono riusciti a portare alla luce un fitto intreccio criminale che avrebbe coinvolto spregiudicati manager, avidi faccendieri e pubblici funzionari al fine di spartirsi l’affare milionario della vendita dei vaccini. Superata la fase di test di questi ultimi, difatti, i pubblici funzionari coinvolti e le imprese farmaceutiche avrebbero agito tramite la diffusione di informazioni errate per mezzo della stampa, in modo di enfatizzare nei confronti dell’opinione pubblica i potenziali rischi di una pandemia, assicurando così alle aziende farmaceutiche del cartello appalti milionari per forniture di dosi di vaccini, in seguito rivelatesi del tutto inutili. Un business che si sarebbe presto espanso anche all’estero, verso Romania e Olanda, grazie all’autorità di virologi di fama mondiale coinvolti nell’operazione.

Per tutte le inquietanti vicende descritte, le accuse sono di corruzione, concussione e abuso d’ufficio per i pubblici ufficiali coinvolti e di ricettazione, somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica e tentata epidemia per gli altri soggetti.

In attesa che gli atti dell’indagini divengano di pubblico dominio, per la completa ricostruzione di questo affaire ci affidiamo alle pagine de l’Espresso, che vi ha dedicato alcuni mesi fa un’inchiesta. Si scopre così che le indagini sono nate negli Stati Uniti, allorquando la Homeland Security — il ministero creato dopo l’11 settembre per contrastare attacchi terroristici contro bersagli negli USA — ha posato lo sguardo sull’attività di importazione illecita di ceppi virali, destinati alla produzione di vaccini. È così emerso che un italiano, Paolo Candoli, manager della Merial, nel 1999 si fece spedire a casa in Italia tramite corriere espresso un ceppo di aviaria proveniente da un allevamento in Arabia Saudita. Nello stesso anno, iniziarono ad apparire focolai di epidemia negli allevamenti del Nord Italia. A quanto riporta l’Espresso, già allora i Nas di Bologna ipotizzarono l’esistenza di un’organizzazione dedita al traffico di virus e alla produzione clandestina di vaccini, senza però riuscire a individuarne gli artefici.

Tuttavia, a parte le vicende che hanno portato le case farmaceutiche all’appropriazione dei virus in spregio di ogni norma di sicurezza, il capitolo più inquietante dell’indagine riguarda la strategia della diffusione dell’allarme sul possibile contagio dai volatili agli umani. Nel corso del 2005, l’OMS raccomandò di far scorte di Tamiflu, prodotto dalla Glaxo, che sembrava rivelarsi efficace nella cura della malattia, salvo poi scoprire che il nuovo virus si era dimostrato resistente e raccomandare in tutta fretta un altro prodotto, il Relenza della Glaxo. Sulla scorta dell’allarme dell’OMS, già nel 2005 in Italia si moltiplicarono gli articoli che alimentavano l’allarme per un’imminente epidemia in arrivo, data per inevitabile, tanto che nel giro di pochissimo tempo, prima che l’efficacia del suo farmaco venisse sconfessata, la Roche registrò un aumento del 263% delle vendite di Tamiflu. Dalle indagini è emerso che gran parte delle informazioni allarmistiche erano state diffuse in un convegno tenuto a Malta nel settembre del 2005, sponsorizzato proprio dalle aziende che confezionano vaccini contro l’influenza e farmaci antivirali. Si è venuta quindi a delineare una vera e propria strategia di terrorismo informativo, capace di diffondere la psicosi allo scopo di provocare impennate nelle vendite di farmaci. Interessante notare che nel 2013 si è registrato un nuovo allarme relativo a Sars e influenza aviaria, senza che si sia stata alcuna epidemia. Tuttavia, va notato che quando L’OMS diffonde queste allerte, le autorità sanitarie dei vari Stati corrono ai ripari facendo incetta di vaccini, che in quanto soggetti a data di scadenza, dopo pochi anni vanno sostituiti.

Perché è possibile che accadano fatti simili? In un sistema capitalistico, l’obiettivo di ogni azienda è quello di incrementare negli anni i propri utili, puntando all’aumento delle vendite. Per far ciò, le aziende ricorrono alla pubblicità e al marketing, in grado di far generare un bisogno nei consumatori. Anche le case farmaceutiche, lungi dall’essere istituzioni spinte da spirito filantropico e dovendo rispondere ai propri azionisti e alle autorità di vigilanza, non si discostano da questo schema. Si può ben dire, pertanto, senza alcun timore di banalizzare, che esse traggono vantaggio dal proliferare delle malattie. Queste considerazioni sono oramai condivise da gran parte della popolazione, che da tempo non crede più agli intenti compassionevoli e umanitari dell’industria del farmaco.

A causa dei meccanismi di pressione psicologica che le industrie esercitano sulla classe medica, purtroppo siamo stati abituati a pensare al farmaco come all’unico toccasana in grado di guarirci, come se il nostro corpo non possedesse proprie difese immunitarie o non vi siano sistemi alternativi rispetto a molecole sintetiche prodotte industrialmente. Questa accade poiché il nostro modo di pensare è ancora plasmato da logiche errate, che dovremmo impegnarci per superare. Attualmente, i farmaci vengono ancora consumati in dose massiccia e con troppa leggerezza, tanto che siamo abituati a prendere una pasticca magica al primo sintomo di raffreddore, senza nemmeno leggere gli effetti collaterali noti riportati sul “bugiardino”. Allo stesso modo, il medico di famiglia ci prescrive medicinali su medicinali per ogni minimo malanno e noi senza riflettere ubbidiamo, come scolaretti giudiziosi. Persino soggetti del tutto sani assumono medicinali in via preventiva, come profilassi di eventuali malattie che potrebbero colpirli. Tutto questo nonostante le cronache siano piene di storie di farmaci ritirati dal mercato perché dannosi, tra i quali alcuni si sono dimostrati capaci di provocare un male ben più grave di quello che pretendevano di curare. Tanto si è parlato lo scorso anno dello scandalo Avastin e Lucentis per la cura della macula, anch’esso oggetto di indagine poiché sembrerebbe che l’industria abbia spinto il medicinale al costo più elevato; vi sono tuttavia anche altri casi recentissimi, come quello dell’antidiabetico Actos, le cui case farmaceutiche Takeda e Ely sono state condannate al pagamento di una sanzione di 9 miliardi di dollari per aver tenuto nascosto l’effetto cancerogeno del farmaco, durante i test per l’approvazione negli Stati Uniti. In alcuni casi, farmaci devastanti per la salute umana ritirati da un mercato hanno continuato a essere venduti in altri paesi, sotto altro nome, continuando a provocare ingenti danni solo perché il produttore non perdesse una fetta di profitti.

La cosa più impressionante è che quanto descritto continua ad accadere, sebbene la legge imponga di testare il principio attivo sugli animali e su volontari umani prima della commercializzazione. Milioni di animali soffrono e muoiono ogni anno nei test su nuovi farmaci, così come milioni di umani nella storia della moderna medicina si sono ammalati e sono morti, restando vittime di quegli stessi medicinali che hanno passato i test sugli animali.

Un altro capitolo di notevole importanza riguarda le isterie di massa generate dall’annuncio di potenziali pandemie provocate da nuovi virus e agenti patogeni. Accade così che i mezzi d’informazione diffondono allarmi e paure ingiustificate di contagi di massa, che sono prontamente anestetizzate grazie all’ultimo ritrovato della ricerca, guarda caso già custodito in attesa dell’occasione giusta, nel cassetto di qualche multinazionale del farmaco. È da tener presente che il diffondersi di epidemie e pandemie rappresenta, per quelle case farmaceutiche in possesso di brevetti su principi attivi o vaccini apparentemente in grado di contrastarle, nient’altro che un’occasione ghiotta per ottenere un’impennata vertiginosa del fatturato. Per questo motivo, dietro il caso aviaria e alcuni casi recenti di allarmismo riguardanti presunti rischi di estensione dei virus — tali da lasciar prevedere alle competenti autorità mediche pandemie a livello globale, poi non verificatesi — probabilmente non vi era altro che il chiaro intento da parte delle case farmaceutiche di cavalcare l’ondata emotiva di spavento, per indurre governi e individui a fare massicce scorte dei propri prodotti dichiaratamente efficaci nel contrastare il contagio.

Dietro la parvenza di voler tutelare al massimo grado la popolazione umana, diffondendo l’allarme per possibili temibili sciagure, spesso si cela la volontà di favorire l’industria del farmaco, in possesso delle soluzioni per le previste emergenze.

D’altronde, che il sistema non fosse sano se ne erano accorti nel 2001 i delegati dei paesi in via di sviluppo nel corso dei negoziati di Doha, all’interno della cornice dell’Organizzazione mondiale del commercio. In quell’occasione, gli Stati più sviluppati imposero un accordo per la tutela della proprietà intellettuale che copriva anche i brevetti su farmaci e sementi. Quanto ai primi, non vennero prese in alcuna considerazione le richieste provenienti dai paesi africani dilaniati dall’AIDS di poter continuare a fronteggiare l’emergenza producendo o importando farmaci generici a basso costo, copie senza licenza degli antiretrovirali utilizzati nella terapia, i cui brevetti sono saldamente nelle mani dei colossi farmaceutici occidentali. In compenso, si aprì la strada alla brevettabilità da parte delle multinazionali farmaceutiche dei principi attivi tradizionalmente utilizzati dai popoli indigeni e da parte delle multinazionali come la Monsanto di accaparrarsi il mercato mondiale delle sementi.

Per la verità, a Doha venne emanata un’apposita dichiarazione che poneva la sanità pubblica al di sopra degli interessi commerciali. Tuttavia, negli anni successivi questo principio ha faticato a tradursi in qualcosa di concreto, a causa dei timori dei paesi in via di sviluppo di andare contro lo strapotere degli USA e dell’Europa. È ben nota, a questo proposito, la vicenda che vide la Novartis portare in giudizio per violazione di brevetto le aziende indiane che producevano delle versioni generiche del suo farmaco antitumorale Glivec. Nel marzo del 2013, la Corte Suprema indiana ha stabilito che l’industria locale ha il diritto di produrre il farmaco generico, ponendo a fondamento della sua decisione la salvaguardia del diritto alla salute della popolazione.

Per concludere, raccomando la lettura dei sempreverdi testi di Hans Ruesch, L’imperatrice nuda (Rizzoli, 1976) e La figlia dell’imperatrice (Stampa Alternativa, 2006), che nell’enucleare decine di esempi a sostegno dell’inutilità scientifica della sperimentazione animale, trattano a fondo i complessi intrecci di interessi tra politica e industria farmaceutica e mettono in guardia dalla propaganda che ci impone di consumare a ogni costo farmaci del tutto inutili e dannosi.

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