“Caccia alla pantera”: perché questo titolo aggressivo?

Il lessico ha la sua importanza: il termine “caccia” istiga inevitabilmente alla violenza.

C’era una volta la “Pantera Rosa”

Quella dei cartoni animati o, ancor più indimenticabile, quella dei film dell’esilarante Ispettore Clouseau.

Con quella sorniona musica di accompagnamento che ha allietato tante nostre serate televisive.

Ora, invece, c’è un’altra pantera. Una vera, si dice, e non finta come quella dei film di Peter Sellers.

Una pantera, i cui passi non sarebbero accompagnati da una musica altrettanto stuzzicante, ma che stanno comunque destando somma attenzione ed anche un po’ di comprensibile paura.

In Puglia da diversi giorni è scattata, cioè, la “caccia alla pantera”, come titolano certi articoli di giornale e non pochi servizi televisivi.

Titoli questi che, sinceramente, fanno rabbrividire e che vanno adeguatamente esaminati.

Perché, in realtà, anche il lessico ha la sua importanza e l’audience che un titolo del genere comporta non dovrebbe mai essere elemento tale da far passare in secondo piano il rispetto che si deve pur sempre ad un altro essere vivente. Sia esso pesce rosso o grosso felino come in questo caso.

Più corretto, magari, sarebbe stato il termine “ricerca”, ma chiaramente è di meno appeal. 

Non si vuole essere pedanti, ma il punto è che il termine “caccia” istiga inevitabilmente alla violenza e stupisce francamente che emittenti serie e giornali qualificati non ne comprendano l’importanza insita.

La ratio stessa del concetto di caccia prevede, infatti, la contemporanea presenza di due soggetti: da un lato lui – il cacciatore – ovverosia il figo della situazione; dall’altro lei – la preda – in altre parole la vittima sacrificale, che solo in pochissimi casi ha la fortuna di scamparsela.

È questo che si vuole veramente? Che ci sia una vittima sacrificale? Si spera e in fondo si è certi di no. È preferibile credere che vi sia solo una sottovalutazione del problema da parte di tutti noi e l’utilizzo della giusta terminologia può essere estremamente importante in tal senso, se non addirittura determinante per evitare fini ingloriose.

Anche perché la presenza della pantera in Puglia, in fondo, non sembra sia stata neanche definitivamente accertata. Si suppone solo che essa ci sia e non basta dire che ci sono tracce compatibili con quelle di un grosso felino. Ma quand’anche effettivamente ci fosse come si dice poco cambierebbe.

Intendiamoci, per non essere fraintesi. Nessuno gradirebbe essere attaccato da lei e chiaramente si comprendono la paura e l’istintivo spirito di salvaguardia della propria e dell’altrui incolumità.

Non per questo bisogna però mancare di rispetto ad una altra creatura vivente, come si sta facendo.

Con titoli opinabili come quelli sopra esaminati o con il sarcasmo che in questi giorni sta emergendo sui social network (si veda, tra le altre ironie social, il profilo facebook “PanteraNera Pugliese”).

Sì, esatto, qui si chiede solo rispetto

Rispetto per un essere vivente, la cui esistenza è probabile, ma non ancora sicura. 

Rispetto per una creatura, la cui effettiva pericolosità è ancora tutta da accertare e che subisce i pregiudizi della individualista cultura umana. 

Rispetto per chi difficilmente si trova qui per sua scelta, ma solo perché portato o dimenticato o liberato da qualcun altro e che ora rischia di pagare con la propria vita colpe non sue. 

Rispetto per chi, magari, ha semplicemente fame come tutti noi e che, a differenza nostra, non può però entrare liberamente in un supermercato per acquistare i generi alimentari di cui abbisogna o prelevare dal Bancomat l’importo occorrente.

Anche se siamo certi che questa potrebbe essere la prossima ironia che questa povera pantera dovrà scontare.

Foto di copertina: slowmotiongli su iStockphoto

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