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Dyah Ahsina Fahriyati/Pixabay

Italia, è guerra ai prodotti alimentari contenenti proteine vegetali

Perché porre ostacoli alla diffusione delle proteine vegetali in Italia è contrario alla tutela del consumatore.
Paola Sobbrio

Paola Sobbrio

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Il 29 Dicembre 2022 è stata presentata alla Camera dei Deputati la Proposta di legge 746 Disposizioni in materia di denominazione dei prodotti alimentari contenenti proteine vegetali.
L’incipit della Proposta di legge recita:

«Il mercato agroalimentare in questi ultimi anni ha visto il proliferare di alimenti a base vegetale posti in commercio con l’uso distorto di nomi riferiti alla carne e ai prodotti a base di carne».

La proposta in questione mira a scoraggiare il consumatore a mangiare alternative vegetali alla carne e ai salumi mettendo in atto una strategia ben nota nel campo dei prodotti alternativi all’uso degli animali ossia il divieto di usare, per le alternative, le denominazioni che si utilizzano per i prodotti che derivano da animali.

I precedenti: il Decreto Pelle

Nel 2020, il Decreto Legislativo 9 Giugno 2020, n° 68, detto Decreto Pelle ha stabilito che è vietato usare termini — anche se in lingua straniera — come , “cuoio”, “pelle”, “cuoio pieno fiore”, “cuoio rivestito”, “pelle rivestita”, “pelliccia” e “rigenerato di fibre di cuoio” e così via, se il prodotto non è realizzato con materiali che derivano da animali.
La stessa cosa è avvenuta in seguito alla sentenza 14 giugno 2017 (causa C-422/16) con cui la Corte di Giustizia Europea ha statuito il divieto di utilizzare le parole come “latte”, “crema di latte, “panna”, “burro”, “formaggio” e “yogurt”, se riferite a un prodotto puramente vegetale, in quanto riservate a prodotti di origine animale.

La tutela del consumatore

Questi divieti fanno leva su un principio molto importante del nostro ordinamento giuridico: la tutela del consumatore.

Questa tutela trova i suoi più importanti alleati nel diritto all’informazione, nel corrispondente dovere delle aziende di assicurare un’informazione corretta che possa permettere al consumatore di scegliere consapevolmente i prodotti da acquistare e nel garantire alimenti sani e sicuri.

Ai sensi dell’art 3 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori:

«La fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche».

Il consumatore, quindi, attraverso l’etichetta del prodotto (l’etichetta fornisce le informazioni di cui all’art. 3 del Regolamento) esercita il suo potere di autodeterminarsi scegliendo se acquistare o meno il prodotto oggetto della sua attenzione.

Le omissioni della Proposta di legge 746 alla luce dell’evidenza scientifica

La Proposta di legge in questione non ha come fine la tutela della libertà di scelta dei consumatori, poiché questi ultimi sono perfettamente consapevoli che non c’è, ad esempio, carne in una “mortadella vegana”. L’obiettivo di questa proposta di legge è semplicemente tutelare il patrimonio zootecnico nazionale.

I proponenti sono convinti che usare denominazioni che richiamano il prodotto che deriva da animale evochi:

«nell’immaginario del consumatore, alcuni concetti strettamente legati alla produzione zootecnica, quali: la metodologia di produzione fatta di impegno personale, manodopera e passione per l’allevamento animale, la tutela degli stessi e la salvaguardia di ambiente e paesaggio, oltre che le capacità e le conoscenze specialistiche richieste per la stagionatura dei salumi o la corretta lavorazione delle carni».

Giova ricordare che esiste una correlazione tra aumento dell’antibiotico-resistenza nella popolazione generale e l’uso massiccio di antibiotici negli allevamenti, tra aumento delle malattie zoonotiche e numero elevato di animali che vivono negli allevamenti, tra inquinamento1Dal punto di vista della sostenibilità ambientale è stato calcolato che la produzione delle proteine alternative riduce, se paragonata al sistema tradizionale basato sugli allevamenti, in modo consistente il consumo di acqua, le emissioni inquinanti, il consumo di energia e di suolo. https://thebreakthrough.org/issues/food-agriculture-environment/are-alternative-proteins-a-climate-solution. dell’aria, dell’acqua e del suolo e gestione degli allevamenti.

Recentissimo è il Rapporto di sintesi dell’Intergovernamental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite per la valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici, di cui abbiamo parlato qui, che evidenzia la necessità di modificare i regimi alimentari per contrastare il cambiamento climatico.

Nella Proposta di legge, inoltre, si afferma che:

«questi prodotti ottenuti mediante la lavorazione di vegetali che vengono macinati, mischiati, arricchiti con aromi e addensanti non hanno nulla a che fare, dal punto di vista nutrizionale, con i veri prodotti della zootecnia: vitamine, proteine, sali minerali (e spesso anche apporto calorico complessivo) sono sideralmente distanti da quelli dei prodotti della zootecnia».

Nel settore alimentare, quando si parla di “tutela del consumatore” ci si riferisce anche a uno dei pilastri su cui si basa la legislazione alimentare, “assicurare alimenti sicuri e sani”.

La sicurezza alimentare

Il Regolamento 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, all’articolo 5 prevede che la legislazione alimentare persegua fra i suoi obiettivi generali:

«un livello elevato di tutela della vita e della salute umana, la tutela degli interessi dei consumatori, comprese le pratiche leali nel commercio alimentare, tenuto eventualmente conto della tutela della salute e del benessere degli animali, della salute vegetale e dell’ambiente».

L’Italia si è contraddistinta per essere, in Europa, il paese più contrario all’adozione del Nutriscore, il sistema di etichettatura europeo previsto nell’ambito della strategia Farm to Fork, pensato proprio per aiutare i consumatori a scegliere cibi più salutari.

La carne rossa e i salumi (a cui sono aggiunti additivi, aromi e conservanti) sono classificati come cancerogeni dalla IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, e dall’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità già dal 2016, tanto che la stessa IARC nelle sue linee guida raccomanda di seguire un’alimentazione che riduca l’apporto di grassi e proteine animali e favorisca l’assunzione di cibi ricchi di vitamine e fibre («nella frutta e nella verdura infatti oltre alle fibre si trovano in misura variabile vitamine e altri componenti essenziali il cui insieme ha un riconosciuto potere protettivo») per la prevenzione delle le malattie cardiovascolari e di quelle tumorali.

La proposta di legge 746 tutela realmente il consumatore?

Alla luce di questo, quindi, è anacronistico e lesivo del principio della tutela della salute del consumatore, in cui è compresa la tutela dell’ambiente in cui vive, continuare a osteggiare la diffusione delle proteine alternative, con argomentazioni contrarie all’evidenza scientifica, dal momento che sono tantissime le opzioni disponibili sul mercato che hanno tutte superato il vaglio di sicurezza e salubrità così come previsto dal Regolamento 178/2002.

Note

  • 1
    Dal punto di vista della sostenibilità ambientale è stato calcolato che la produzione delle proteine alternative riduce, se paragonata al sistema tradizionale basato sugli allevamenti, in modo consistente il consumo di acqua, le emissioni inquinanti, il consumo di energia e di suolo. https://thebreakthrough.org/issues/food-agriculture-environment/are-alternative-proteins-a-climate-solution.

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