Mat Coulton/Pixabay

E tu, daresti da mangiare carne coltivata al tuo cane o al tuo gatto?

Un primo studio inglese ha iniziato a esplorare il possibile mercato della carne coltivata nel settore del pet food.
Alessia Colaianni

Alessia Colaianni

Giornalista e divulgatrice scientifica

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La carne coltivata, negli ultimi mesi, è diventata uno dei pomi della discordia su cui si concentrano discussioni sui social media e nei talk show. Tutto questo nonostante non sia ancora in commercio e, probabilmente, richiederà ancora tempi piuttosto lunghi e investimenti ingenti per poterne fare una reale alternativa ai prodotti di origine animale. Come per tutti i prodotti commerciali, però, è necessaria una preventiva valutazione del mercato a cui potrebbe essere destinato. Se per il consumo umano già sono state svolte alcune ricerche, l’utilizzo della carne coltivata per il consumo animale è ancora un settore poco esplorato. Eppure, potenzialmente, possiederebbe delle caratteristiche che potrebbero renderlo promettente.

Il mercato del pet food in Italia

In Italia il mercato dell’alimentazione per cane e gatto è in crescita. Dai dati del Rapporto Assalco – Zoomark 2022 si evince un trend più che positivo: nel 2021, il mercato dei prodotti per l’alimentazione dei cani e gatti in Italia ha sviluppato un giro d’affari di oltre 2.000 milioni di euro per un totale di 658.467 tonnellate vendute (dati ricavati dai canali Grocery, Petshop Tradizionali, Catene Petshop).
Nel periodo analizzato nel rapporto è confermata una crescita del mercato maggiore sul valore rispetto al volume. Ciò è dovuto all’orientamento degli consumatori verso prodotti di maggior valore, che può declinarsi nella scelta di prodotti premium, di alta qualità, formati più piccoli con un rapporto prezzo/quantità più alto o alimenti dietetici a supporto di patologie specifiche. Ci sono anche prodotti che cavalcano le tendenze emergenti: ad esempio pet food senza glutine, grain free, con un’unica fonte proteica o formulati con materie prime selezionate, naturali e vegetariani/vegani. Queste ultime categorie sono importanti per comprendere le basi dello studio pubblicato da un team di ricercatori inglesi e pubblicato sulla rivista scientifica PLOS One: Investigating the market for cultivated meat as pet food: A survey analysis (Indagando sul mercato della carne coltivata come cibo per animali domestici: un’analisi del sondaggio).

Etica e sostenibilità: e il cibo per cani e gatti?

Prima di entrare nel merito dei dati e dei risultati della ricerca inglese, è essenziale evidenziare che anche gli alimenti per cani e gatti hanno un impatto ambientale e la scelta della tipologia di cibo può essere decisiva. Approfondisce questo aspetto l’articolo, pubblicato alcuni mesi fa sulla rivista scientifica Scientific Reports del gruppo Nature, focalizzato sull’impatto ambientale delle diverse diete canine e feline in Brasile. La ricerca aveva come obiettivo la valutazione dell’impatto delle diete secche (cibo per animali estruso con il 12% o meno di umidità), umide (in scatola o sacchetto) e casalinghe (prodotto utilizzando gli stessi ingredienti del cibo per l’uomo) per cani e gatti1In questo studio non è inserita la dieta BARF per i cani, che prevede il consumo – esclusivamente senza cottura – di carne di pollo, maiale, manzo, agnello, coniglio, quaglia o anche di animali selvatici e pesce, e in quantità minori di verdure, frutta, uova, olio, latticini, cereali e integratori.. Secondo i dati raccolti, le diete umide sono le maggiormente impattanti, mentre il secco peserebbe di meno sulle emissioni legate al riscaldamento globale. Per l’esattezza il cibo umido produrrebbe otto volte più emissioni del secco, mentre il cibo casalingo si troverebbe a metà strada. Qui un confronto che aiuta meglio a riflettere sul peso di queste informazioni: un cane di 10 kg che assume circa 500 calorie, secondo i calcoli riportati nello studio, sarebbe responsabile di 828,37 kg di CO2 equivalente l’anno con una dieta secca e di 6.541 kg di CO2 equivalente l’anno con una dieta umida. Un cittadino brasiliano medio emette 6.690 kg di CO2 equivalente l’anno.
Cos’è il CO2 equivalente? È una misura utilizzata per confrontare le emissioni dei diversi gas serra sulla base del loro potenziale di riscaldamento globale. È calcolata convertendo le quantità di altri gas nella quantità equivalente di anidride carbonica con lo stesso potenziale di riscaldamento globale.
Oltre alla sostenibilità, uno dei fattori che può influenzare la scelta di una dieta per il nostro animale domestico è l’etica: vegetariani e vegani vivono il conflitto tra la propria scelta alimentare e quella che sono tenuti a compiere per il proprio gatto o cane. Alcuni sono disposti anche a modificare il regime alimentare di questi ultimi verso una direzione plant-based — più “accettata” per il cane che è un animale onnivoro, fortemente sconsigliata per un gatto, carnivoro obbligato —, altri continuano a far assumere proteine animali ai propri compagni. Fermo restando che qualsiasi dieta deve essere vagliata da un veterinario, una risposta all’esigenza di sostenibilità ed etica potrebbe essere proprio la carne coltivata.

Il sondaggio, tra consumo umano e animale di carne coltivata

In un primo lavoro di valutazione del mercato della carne coltivata nel settore del pet food, pubblicato sulla rivista scientifica PLOS One, i ricercatori hanno utilizzato i dati raccolti con un sondaggio a cui hanno partecipato 729 persone. L’obiettivo era esaminare la disponibilità dei consumatori a introdurre nelle diete dei propri animali da compagnia (cani e gatti) la carne coltivata, con riferimento agli attuali regimi seguiti e alla propensione dei consumatori stessi nel mangiare carne coltivata.
Cosa ci raccontano questi primi numeri?

Prima di tutto, la situazione di base descritta mostra che molti vegetariani e vegani nutrono i loro animali da compagnia con prodotti a base di carne. In effetti, il 90% di tutti i partecipanti ha affermato che i propri animali seguono diete a base di carne, mentre solo il 10% ha optato per un regime prevalentemente a base vegetale.
Non tutti i partecipanti al sondaggio disposti a mangiare carne coltivata l’avrebbero data anche ai propri compagni, ma la grande maggioranza ha risposto affermativamente (81,4%).
Per chi, invece, non aveva intenzione di consumare carne coltivata la questione è più complessa: vegani e vegetariani erano meno propensi nell’affermare che avrebbero mangiato carne coltivata (16,4%) rispetto agli intervistati che mangiavano carne (40,3%). Ma, tra vegani e vegetariani che non consumerebbero carne coltivata, la maggioranza (55,9%) ha indicato che la darebbe comunque da mangiare ai propri animali domestici. Probabilmente il dilemma etico a cui abbiamo accennato sopra è particolarmente sentito e la carne coltivata, in futuro, potrebbe essere una risposta a questo problema.
Tra gli intervistati che mangiano carne “tradizionale”, solo una piccola minoranza (9,6%) non disposta a mangiare carne coltivata la darebbe, invece, ai propri compagni animali.

I risultati: alcune sorprese e molte riflessioni

Prima di avviare una qualsiasi riflessione su questi primi dati, è bene sottolineare che gli stessi autori della ricerca hanno affermato che il loro lavoro è soggetto a una serie di limiti: infatti, dei 729 intervistati, l’85% erano donne e il 33% erano vegane o vegetariane. Il campione era quindi parziale in quanto sovra rappresentava vegani e vegetariani, donne e professionisti istruiti della classe media.

Come si poteva in parte presupporre, quando si tratta di mangiare carne coltivata, il mercato principale si trova tra gli onnivori che consumano regolarmente proteine ​​animali. Tuttavia, mentre la disponibilità a consumare carne coltivata e nutrire i propri animali con carne coltivata era positivamente correlata, è stata osservata un’ampia percentuale di intervistati che non erano disposti a consumare carne coltivata, ma ha comunque espresso la volontà di introdurla nella dieta dei propri animali domestici. Come abbiamo già sottolineato, c’è una buona parte di vegetariani e vegani che riconoscono il ruolo delle proteine animali nella dieta dei propri cani e gatti e troverebbero nella carne coltivata una possibile soluzione al dilemma etico che devono affrontare quotidianamente.

Un aspetto dello studio che incuriosisce è la presenza di un gruppo di intervistati che mangerebbe carne coltivata, però non la introdurrebbe nel regime alimentare dei propri compagni animali. Secondo gli autori, le ragioni potrebbero essere legate alla mancata “naturalezza” della carne coltivata e a eventuali rischi sulla salute dell’animale. Certo, il campione inquadrato dal sondaggio è costituito da individui particolarmente coinvolti nella vita e nei bisogni del proprio animale domestico e sicuramente interessati a mantenere uno standard alto per la sua salute, ciononostante sono comunque fattori da tenere in considerazione nell’eventuale comunicazione e promozione dei prodotti derivanti da colture cellulari. Tra l’altro sono le stesse preoccupazioni espresse da chi è incerto sul consumo umano di carne coltivata. In questo i due mercati si somigliano e sicuramente sarà un aspetto su cui lavorare nel caso questo prodotto riuscisse, alla fine, a raggiungere gli scaffali dei nostri supermercati.

Note

  • 1
    In questo studio non è inserita la dieta BARF per i cani, che prevede il consumo – esclusivamente senza cottura – di carne di pollo, maiale, manzo, agnello, coniglio, quaglia o anche di animali selvatici e pesce, e in quantità minori di verdure, frutta, uova, olio, latticini, cereali e integratori.

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