La difesa dei diritti animali in Europa

Intervista alla dott.ssa Elena Nalon di Eurogroup for Animals (parte I)

Dopo il referendum sulla Brexit, molti lettori ci hanno chiesto cosa accadrà alle normative europee di protezione degli animali nel Regno Unito. Abbiamo colto l’occasione per approfondire questo e altri aspetti legati alla tutela del benessere animale in sede europea intervistando tre responsabili di Eurogroup for Animals, organizzazione con sede a Bruxelles che rappresenta davanti alle istituzioni europee gli interessi delle principali realtà attive in Europa per i diritti animali.


Elena Nalon è laureata in medicina veterinaria presso l’Università egli Studi di Padova, è specialista del College Europeo di Benessere Animale (ECAWBM), e ha recentemente conseguito il titolo di dottore di ricerca in Scienze Veterinarie presso l’Università di Ghent (Belgio). Collabora con Eurogroup for Animals dal 2014. Twitter: @ElenaEG4A

Andreas Erler ha un diploma europeo in scienze ambientali e da quasi 17 anni è consulente politico di Eurogroup for Animals specializzato nei rapporti con il Parlamento Europeo.

Joe Moran si è laureato in scienze politche a Liverpool e ha lavorato come assistente parlamentare e come consulente di pubbliche relazioni per vari enti prima di approdare a Eurogroup for Animals, dove attualmente ricopre il ruolo di consulente politico esperto in pubbliche relazioni.

DISCLAIMER: Le opinioni riportate in questa intervista non intendono rappresentare la posizione ufficiale di Eurogroup for Animals e dei suoi membri.


Cosa è Eurogroup for Animals e di cosa si occupa?

(Elena Nalon) Eurogroup for Animals è una federazione internazionale di associazioni che lavorano in difesa degli animali e del loro benessere in Europa. Abbiamo sede a Bruxelles e rappresentiamo al momento 54 organizzazioni in, 24 stati membri, oltre a Norvegia, Serbia, Svizzera, Australia e USA. Recentemente si è unita a noi anche Animals International, il braccio internazionale di Animals Australia. Il che rende l’idea di quanto il nostro movimento stia diventando sempre più globale, dato che i problemi legati al benessere animale non conoscono confini, e questo sta diventando sempre più evidente come conseguenza dei patti commerciali intercontinentali.

Tradizionalmente il nostro ruolo è stato quello di rappresentare la società civile rapportandoci con le istituzioni europee (Parlamento, Commissione, Consiglio) per dare impulso a nuovi progetti legislativi sulla protezione del benessere animale, o per influenzare processi legislativi in corso. Siamo riconosciuti come esperti nel nostro settore e abbiamo un’ottima reputazione come interlocutori attendibili e competenti in tutti i forum consultivi e decisionali delle istituzioni europee.

Attualmente il clima politico per quanto riguarda il benessere e la protezione degli animali – specie quelli di allevamento – è molto cambiato rispetto al passato: con la crisi le priorità sono occupazione, digitalizzazione, crisi migratoria, crescita economica, sostegno alle produzioni. Quindi il benessere animale viene percepito più come un fastidio che un’opportunità. Per questo motivo, recentemente ci siamo lanciati in campagne europee, coordinate insieme ai nostri membri, che hanno per obiettivo la mobilitazione dell’opinione pubblica. I cittadini hanno un’enorme influenza sulle politiche nazionali, ed è lì che stiamo investendo energie, sfruttando la nostra enorme rete di sostegno in tutta Europa e oltre.

Galline ovaiole in gabbia. Foto di Farm Watch

Quali sono i vostri principali risultati?

(Elena Nalon) Eurogroup for Animals è stato fondato nel 1980, e ha un track record di successi impressionante, questo grazie alla professionalità e competenza dello staff che si è avvicendato nel corso degli anni, e alla stretta collaborazione con la rete dei nostri membri. Possiamo nominare il divieto di importazione delle pelli di cuccioli di foca (1983), l’abolizione delle poste singole per i vitelli a carne bianca (1997), l’abolizione delle gabbie tradizionali per le galline ovaiole (1999), la sostanziale restrizione dell’uso delle gabbie singole per le scrofe in gestazione (2001), il divieto di importazione di uccelli selvatici catturati (2007), e così via. Un successo molto recente è stato l’introduzione dell’obbligo di registrazione per venditori e allevatori di animali da compagnia (2015). E ovviamente lavoriamo senza sosta, quindi la lista dei nostri successi è destinata ad aumentare.


Quali sono le campagne in corso?

(Elena Nalon) In questo momento la nostra campagna principale è quella contro il trasporto di animali vivi su lunghe distanze (Stop The Trucks). Si tratta di un settore dove le condizioni degli animali sono migliorate assai poco da quando è uscito il Regolamento Europeo 1/2005 che disciplina questo tipo di trasporti. L’implementazione del Regolamento differisce nei vari stati membri, è molto difficile fare controlli sistematici (e anche in quel caso, ci sono differenze macroscopiche nelle sanzioni), e ci sono lacune tali nella formulazione delle norme che lo spazio interpretativo di fatto determina sofferenze inimmaginabili per gli animali. Il trasporto di animali vivi è un business in piena espansione, specie verso i Paesi Terzi (un esempio tra tutti è la Turchia), dove gli animali, spesso dopo giorni di viaggio, vengono macellati in modo brutale.

Noi chiediamo che il Regolamento 1/2005 venga rivisto per limitare fortemente la durata massima di questi trasporti, e che si privilegi il trasporto di carni refrigerate piuttosto che continuare ad aumentare il trasporto di animali vivi. Dal punto di vista logistico questo richiede adattamenti che non possono avvenire senza una reale volontà politica. Grazie alla nostra campagna, al momento 6 Stati Membri hanno inoltrato una richiesta ufficiale alla Commissione per modificare il Regolamento 1/2005 in modo restrittivo: Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Austria, Svezia e Belgio. Ma contiamo che altri lo faranno prima della fine della campagna.

Per il 2018 abbiamo in cantiere una campagna sulla responsabilizzazione dei proprietari di animali d’affezione. Inoltre siamo impegnati in campagne di lungo corso che si svolgono sul piano politico e strategico, in particolare sulla gestione delle specie invasive, sulle liste positive degli animali esotici (liste che specificano gli animal che si possono legalmente detenere, e quindi anche commercializzare), sulla promozione delle alternative alla sperimentazione animale, sulla protezione degli equidi, e sul benessere dei pesci.

Le nostre campagne hanno lo scopo di informare i cittadini e fornire loro gli strumenti per influenzare direttamente i loro governi. In questo modo i cittadini possono esercitare la loro influenza su tematiche che sono di competenza europea. Questa mobilitazione di massa in tutta Europa è cruciale per ottenere cambiamenti in favore degli animali nell’attuale panorama politico europeo, che è piuttosto statico.

Maiali in un allevamento italiano. Foto: Essere Animali

Gli allevamenti intensivi sono sempre più considerati luoghi che intrinsecamente non possono rispettare il benessere animale. Quali progressi possiamo aspettarci in sede europea?

(Elena Nalon) Concordo innanzitutto sul fatto che l’allevamento di tipo industriale si basi su presupposti e pratiche che ormai non sono più giustificabili alla luce delle conoscenze approfondite che abbiamo sulla natura senziente degli animali. Detto questo, gli argomenti che cita sono tutti importantissimi per noi, dato che sono tutti di competenza Europea. Ricordiamo infatti che l’Articolo 13 del Trattato di Lisbona, equivalente a una Costituzione Europea, sancisce il principio fondamentale che gli animali sono esseri senzienti e come tali vanno trattati. Pertanto stiamo lavorando su tutti gli aspetti, direttamente o a livello nazionale tramite i nostri membri, che hanno un’enorme esperienza e competenza in materia.

Ci conforta il fatto che l’opinione pubblica sia sempre più informata e attenta al benessere animale, e che i mezzi di informazione, inclusi i social media, contribuiscano alla diffusione di una maggiore sensibilità nei confronti di questi animali “dimenticati”, che a miliardi vivono brevissime vite, deprivate di qualunque cosa, chiusi in capannoni, lontano da occhi indiscreti. Insieme ai nostri membri, noi cerchiamo di riconnettere i cittadini con la triste condizione degli animali di allevamento, rendendoli in grado di fare scelte di acquisto informate. Purtroppo la politica si basa su altri presupposti, spesso non recepisce prontamente i cambiamenti nell’opinione pubblica. Però ci sono segni di speranza.

Sulla castrazione dei suinetti si è lavorato a partire dal 2010, anno in cui la Commissione Europea ha lanciato la “Dichiarazione di Bruxelles”. Obiettivo di questa dichiarazione è di arrivare, tramite iniziative volontarie dei vari attori della catena suinicola, all’abolizione della castrazione chirurgica entro il 2018. Il processo è più complesso del previsto, e purtroppo gli ostacoli sono ancora molti, ma alcuni stati membri hanno già introdotto legislazione restrittiva vietando la castrazione senza anestesia, e lo stesso sta accadendo in molte catene di grande distribuzione organizzata.

Le alternative alla soppressione dei pulcini maschi nell’industria delle uova sono da anni oggetto di studio da parte di numerosi istituti di ricerca nazionali, ed esistono soluzioni che devono però essere messe a punto per poter diventare praticabili su scala commerciale. È possibile anche ricorrere a linee genetiche a doppia vocazione, che consentono di allevare i maschi per la carne, almeno nel settore biologico.

Per quanto riguarda le gabbie parto e gabbie di gestazione per le scrofe, gabbie “arricchite” per le galline ovaiole, e gabbie per i conigli, queste sono percepite sempre di più come forme di allevamento non più giustificabili da un punto di vista etico. Quindi, ancora una volta, sarà inevitabile un loro graduale abbandono.


Le conoscenze acquisite dall’etologia mettono in discussione il modello di allevamento intensivo, in aggiunta alle evidenze sull’elevato impatto ambientale. Lei ritiene che la legislazione europea possa spingersi un giorno fino a disincentivare questo modello?

(Elena Nalon) Lo spero vivamente, ma per ora si sta facendo ancora troppo poco. Se un tempo in Europa il settore delle produzioni animali era piuttosto diversificato – e in parte ancora lo è, ad esempio per quanto riguarda la produzione del latte – stiamo purtroppo andando nella direzione di un crescente accentramento delle aziende, e alla loro industrializzazione. Questo modello industriale delle produzioni animali viene difeso in nome della sua produttività ed efficienza, perché l’Europa è un leader mondiale nell’esportazione di prodotti animali, e questo genera grandi profitti. Ma quando noi ci sforziamo di esportare i surplus di prodotti di origine animale che abbiamo in Europa e che il consumatore non vuole, non teniamo conto del fatto che i cosiddetti costi esternalizzati (inquinamento atmosferico, nitrificazione dei suoli e delle falde acquifere, uso preventivo e indiscriminato di antibiotici, ecc.) li paghiamo qui, non all’estero. Come si fa a parlare di reale sostenibilità con questi presupposti?

Foto: Eurogroup for Animals

La difficile situazione economica in diverse parti d’Europa e la concorrenza di produzioni animali esterne può essere un ostacolo per l’approvazione di legislazione a favore degli animali?

(Elena Nalon) Di fatto lo è già. Due dei termini che si sentono più spesso nelle riunione dei portatori di interesse europei che vengono regolarmente organizzate al Direttorato Agricoltura e Sviluppo Rurale della Commissione sono “competitività” (globale) e “level-playing field”. Qualunque ulteriore proposta di legislazione sul benessere animale viene ferocemente attaccata dai produttori, trasformatori, commercianti di carni e altri prodotti con il presupposto che ci mette (come Europa) in svantaggio sul piano del commercio globale. I cittadini europei sono mediamente molto interessati a proteggere gli animali di allevamento, come mostrano i risultati dell’ultimo Eurobarometro speciale sul benessere animale. Ma purtroppo, anche se il consumatore europeo è più sensibile, buona parte del resto del mondo non lo è (ancora), e quindi la nostra legislazione sul benessere diventa un fardello per i produttori, che perdono competitività sul mercato globale rispetto ad altri che non devono rispettare alcuna norma.

Questo è il panorama attuale, ma le organizzazioni che si battono per il benessere animale stanno lavorando a livello internazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica anche in Paesi dove tradizionalmente questa non è ancora molto sviluppata. Quindi le cose sono destinate a cambiare e il benessere degli animali di allevamento migliorerà. Sono certa che su questo fronte non si possa tornare indietro, ma solo progredire, nel tempo.


Quali sono le tematiche sulle quali è più probabile ottenere attenzione e risultati concreti per gli animali d’allevamento?

(Elena Nalon) La Commissione Europea attualmente insediata ha ribadito più volte che non intende introdurre alcuna ulteriore legislazione sul benessere degli animali d’allevamento. Questo viene fatto nel tentativo di proteggere un’industria che sta attraversando una crisi prolungata e fisiologica, dato che la domanda interna per carne e latte è stagnante o addirittura in declino per alcuni prodotti – ad eccezione del pollame. Non a caso il commissario Hogan ha annunciato misure straordinarie per promuovere i consumi di carne, e non a caso anche in Italia e in altri Paesi si sono viste pubblicità che promuovevano consumo di latte fresco. Per ottenere nuove norme dovremo quindi aspettare tempi migliori. Chiaramente questo non ci scoraggia, e siamo costantemente impegnati a proporre modifiche alle leggi esistenti e a proporre nuove norme per quelle specie che non godono attualmente nemmeno di misure minime di protezione in allevamento. Pensiamo ad esempio ai conigli, alle bovine da latte, o ai bovini da carne.

Su un altro versante, quello che stiamo facendo è lavorare incessantemente affinché la legislazione esistente venga rispettata. Ormai ci sono casi ben documentati di diffuse violazioni delle leggi europee in materia di benessere animale. Il caso del settore suinicolo per quanto riguarda il taglio sistematico delle code e la mancata fornitura di materiali di arricchimento è un ottimo esempio. Le sofferenze inflitte durante i trasporti di animali vivi in diversi Paesi sono un altro esempio. Consapevole di queste vaste violazioni a regolamenti europei, su questi due temi la Commissione ha iniziato alcune azioni “morbide” commissionando linee guida e cercando di implementare scambi di buone pratiche. Rimane da vedere quale impatto potranno avere queste iniziative. Siamo convinti che i cittadini abbiano un ruolo fondamentale nel creare la necessaria pressione politica per far rispettare le leggi e per proporne di nuove, ed è per questo che ci siamo lanciati – con la collaborazione fondamentale dei nostri membri – in campagne europee di mobilitazione dell’opinione pubblica.

Un’altra strada che stiamo percorrendo è quella di spingere per l’etichettatura (almeno volontaria) dei prodotti di origine animale secondo il metodo di produzione. Se guardiamo alll’esempio eclatante delle uova, in pochi anni la domanda di uova in guscio prodotte in gabbia è diminuita drasticamente. La domanda continuerà a diminuire, perché sempre più gruppi industriali stanno prendendo impegni concreti per eliminare del tutto le uova prodotte in gabbia dai loro scaffali o dai loro ristoranti e hotel. Questo grazie al fatto che il consumatore ora può scegliere, e lo fa. Se potessimo introdurre un’etichettatura simile anche per prodotti come le carni suine, bovine, e il pollame, che indichi in quali condizioni gli animali sono stati allevati (se solo in capannone, con accesso all’aperto, al pascolo, ecc.) probabilmente nel giro di pochi anni assisteremmo a grandi cambiamenti. Noi abbiamo fiducia, perche’ vediamo che le etichette private di benessere animale garantite da alcuni dei nostri membri (ne esistono in Danimarca, Paesi Bassi, Regno Unito, Austria, Germania) stanno riscuotendo un grande successo. Questo va a vantaggio di tutti: dei produttori, che vengono pagati meglio per i loro prodotti, degli animali, che vivono in condizioni più dignitose, e dei consumatori, che possono scegliere secondo i loro principi etici.

(Segue)

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