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Nuove prospettive di tutela per gli animali da pelliccia

I cittadini europei chiedono a gran voce il divieto di allevare volpi, visoni e cincillà e di importare le loro pelli.
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Malvina Veneziano

Studentessa in giurisprudenza italiana e francese presso l’Università degli Studi di Firenze e la Sorbona di Parigi, con una tesi sulla costituzionalizzazione del diritto dell’ambiente e all’ambiente e una specializzazione in diritto dell’agricoltura e diritto internazionale ambientale; da sempre innamorata degli animali e attivista per la tutela dell’ambiente e per la protezione degli ecosistemi. Crede nella presa di coscienza collettiva che la salvaguardia degli animali e dell’ambiente debba diventare una priorità di ciascuno.

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La detenzione e l’abbattimento di animali allo scopo esclusivo di produrre pellicce non più in linea con l’evoluzione del sentire sociale e sono quindi pratiche considerate inaccettabili da molti punti di vista. Negli allevamenti gli animali vivono in condizioni estreme, in piccole gabbie, malnutriti, feriti e non curati, una realtà che comporta seri rischi anche per la tutela della biodiversità e della salute pubblica.

È per questo che è stata ufficialmente lanciata a fine maggio l’iniziativa europea Fur Free Europe, una raccolta firme ufficiale autorizzata dalla Commissione europea che vuole far fronte a tre problematiche principali correlate all’allevamento di animali da pelliccia. 

  1. La natura non etica di questi allevamenti: le specie di animali selvatici come le volpi e i visoni utilizzati per queste produzioni, hanno delle esigenze compartimentali specifiche legate alla loro natura selvatica, esigenze che ovviamente non possono essere rispettate in questo genere di allevamenti.
  2. I rischi collegati alla sicurezza di questi allevamenti che rappresentano un pericolo per la salute degli animali e degli esseri umani. Durante la pandemia di COVID-19, centinaia di allevamenti di visoni sono stati colpiti da focolai del virus e nuove varianti del virus SARS-CoV-2 sono state trasmesse agli esseri umani dagli animali. 
  3. Le criticità correlate alla salvaguardia del pianeta e della biodiversità, considerato il significativo impatto ambientale che li caratterizza. Per esempio, il visone americano, fuggito dagli allevamenti nei quali è impiegato, si è diffuso in tutto il territorio europeo, causando notevoli danni sulla fauna selvatica autoctona. Inoltre, la preparazione e la tintura delle pellicce comportano l’uso di sostanze chimiche tossiche, che attestano questo modello di produzione tra le prime cinque industrie a più alta intensità di inquinamento. 

Più di 500.000 abitanti dell’UE avevano firmato una precedente petizione per chiedere la fine di produzione e commercializzazione di pellicce in Europa. A giugno 2021, durante la riunione del Consiglio Agricoltura e pesca (AGRIFISH), il governo olandese e quello austriaco hanno presentato una nota informativa sostenuta da altri paesi UE che invitava la commissione europea a porre definitivamente fine all’allevamento di animali per la produzione di pelliccia nell’Unione. Ed infatti, nell’attesa di una normativa europea, gli Stati maggiormente sensibili alla problematica si sono già mossi in questa direzione

L’Italia è stato uno dei primi Paesi a regolamentare l’attività di allevamento di animali per la produzione di pellicce con il Decreto Legislativo 146/2001 “Attuazione della direttiva 98/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti”. In questa legge si stabiliva che tutti gli animali allevati con il solo e principale scopo di essere abbattuti per il valore della loro pelliccia dovessero essere detenuti a terra in recinti opportunamente costruiti e arricchiti, capaci di soddisfare il benessere degli animali. Purtroppo questa norma non è mai stata applicata a causa della feroce opposizione degli allevatori.

Con la legge 189/2004 l’Italia è stata il primo paese europeo a vietare il commercio di pellicce di cani e gatti, divieto che si è esteso poi a tutta l’Europa con l’adozione del Regolamento CE 1523/2007. Ma la novità più importante è arrivata proprio  quest’anno, con la legge di bilancio 2022, n. 234 del 30 dicembre 2021, che al comma 980 dell’articolo 1, vieta l’allevamento, la riproduzione in cattività, la cattura e l’uccisione di visoni, volpi, cani procione, cincillà e di animali di qualsiasi specie per la finalità di ricavarne pelliccia. Dal 1° gennaio 2022 sono stati così definitivamente vietati tutti gli allevamenti di animali da pelliccia ma anche le attività di caccia aventi la finalità di ottenere pellicce. All’adozione di questo divieto è corrisposta l’istituzione di un fondo finalizzato a indennizzare gli allevamenti di animali da pelliccia, e dovrà inoltre regolarsi la eventuale cessione e detenzione degli animali presso strutture autorizzate, previa sterilizzazione obbligatoria.

L’Italia non è la sola ad avere disciplinato questo fenomeno. Sono 13 gli Stati membri che all’interno dell’Unione europea hanno vietato totalmente questo tipo di allevamento: Austria, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Slovacchia, Slovenia e Malta.

Nel 2000 e 2005 ​​il Regno Unito e l’Austria sono stati i primi paesi a imporre la fine della produzione di pellicce nel proprio territorio nazionale. Hanno fatto seguito molti altri paesi, alcuni prevedendo finestre temporali di transizione per permettere una dismissione graduale degli impianti. La Bosnia Erzegovina ad esempio ha dato avvio ad un processo di regolamentazione che prevede l’introduzione di un divieto, che se inizialmente sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2018, è stato posticipato al 2028. Tuttavia a causa del declino di questo settore produttivo l’ultimo allevamento bosniaco ha chiuso i battenti nel 2020. Allo stesso modo la Croazia ha previsto un periodo di transizione di 10 anni che ha condotto al divieto degli allevamenti da pelliccia nel 2017 e lo stesso aveva fatto la Slovenia, che dopo un triennio concesso per la graduale chiusura dei diversi impianti rimanenti, ha imposto il divieto a partire dal 2013. Nel marzo 2022 l’Irlanda è stato l’ultimo Stato a vietare la produzione di pellicce sul proprio territorio, e molti altri hanno adottato previsioni che vedranno la fine di questo sistema di produzione: dal 2023 in Belgio e Lussemburgo e dal 2025 in Slovacchia e Norvegia.

A fronte di questa scelta alcuni stati come la Germania e la Finlandia hanno optato invece per l’imposizione di normative igieniche più stringenti (applicabili a tutte o ad alcune specie) e la cui adozione ha di fatto condotto alla dismissione definitiva degli allevamenti esistenti. Così ad esempio in Germania secondo una legge adottata nel 2017 (“Tierzeugnisse- Handelsverbotsgesetz”) l’allevamento di animali da pelliccia sarebbe stato legale solo in conformità con standard di detenzione da implementarsi nel 2022 (quali gabbie o vasche più grandi per i visoni) ma ciò ha portato alla chiusura degli ultimi allevamenti di visoni tedeschi nel 2019, poiché la riconversione a questi standard avrebbe reso antieconomico l’allevamento. La legge non ha previsto misure di compensazione e supporto per gli allevatori, al contrario dell’Olanda, che invece ha avviato il processo di transizione con una legge sul divieto di produzione di pellicce adottata il 4 gennaio 2013 (“Wet verbod pelsdierhouderij”)con lo scopo di eliminare completamente l’allevamento di visoni entro il 31 dicembre 2023. Tuttavia, a seguito di focolai di coronavirus negli allevamenti di visoni olandesi, il governo ha dichiarato la chiusura anticipata del settore nel 2020, assicurando misure di compensazione che includono il risarcimento di alcuni costi di demolizione o riconversione degli edifici in cui i visoni erano tenuti a livello professionale e che hanno perso la loro funzione a causa del divieto.

Anche la Norvegia ha incentivato gli allevatori a mettere fine all’attività di produzione attraverso misure di compensazione a cui, come anticipato, si è accompagnato un divieto alla produzione emanato nel 2019 e che entrerà in vigore nel febbraio 2025. In modo simile in Svezia la previsione di stringenti criteri correlati alla detenzione e allevamento di questi animali per la produzione di pellicce ha condotto alla graduale dismissione degli allevamenti che utilizzavano volpi tra il 1995 e il 2005 e cincillà dal 2014.

Tuttavia mancano ancora all’appello paesi come la Grecia, la Finlandia, Cipro e il Portogallo, benché al momento un divieto sia attualmente al vaglio in Bulgaria, Lituania, Montenegro, Polonia, Spagna e Ucraina.

La persistenza di allevamenti all’interno e all’esterno del territorio europeo pone un notevole problema in relazione al controllo dell’importazione di pellicce. I capi prodotti fuori dai confini europei o all’interno di Stati che non disciplinino in maniera stringente questo tipo di produzione, spesso possono comportare livelli molto ridotti di tutela del benessere animale. In questo senso l’Unione europea ha cercato di intervenire con una serie di innovazioni legislative aventi la finalità di vietare l’importazione di pellicce, e per questo motivo l’iniziativa dei cittadini europei chiede la fine della produzione e della commercializzazione di pellicce nell’Unione. Il regolamento CE n. 1523/2007 dell’11 dicembre 2007 ha lo scopo di vietare la commercializzazione, l’importazione e l’esportazione di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono, un divieto totale mitigato unicamente dalla previsione di una misura autorizzativa adottata dalla Commissione a fini didattici o per la pratica della conservazione di animali morti destinati ai musei di storia naturale. L’Italia aveva precorso i tempi con la legge n. 189 del 20 luglio 2004 che al suo articolo 2 vieta sia l’utilizzo che la commercializzazione, l’esportazione o l’introduzione nel territorio nazionale di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articolo di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce di cani e gatti.

Il problema resta per la mancata previsione di simili misure con riferimento a tutti gli altri animali, permanendo un vuoto normativo che permette l’importazione di pellicce provenienti da altre specie, incentivando l’allevamento intensivo e non etico di animali da pelliccia che non siano quelli domestici. Poiché, secondo la EFSA (European Food Safety Authority) principalmente in Europa arrivano pellicce di visone americano, siamo passati da 2.900 allevamenti nel 2019 a 759 nel 2021, per lo più situati in Finlandia, Polonia, Lituania e Grecia (paesi in cui l’allevamento è ancora legale). In Svezia sono rimasti 27 allevamenti di visoni così come in Spagna, 762 in Finlandia, 666 in Polonia.

Per questo è importante mobilitarsi, aderire alla campagna Fur Free Europe, in modo tale da chiudere tutti gli allevamenti sul territorio europeo ma anche per fermare l’importazione da altri paesi come gli Stati Uniti. La risposta deve essere infatti immediata e globale. 

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