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Richiami vivi: cosa sono e qual è la disciplina italiana

La normativa alla luce di una maggiore sensibilità in materia e alla presenza di alternative alla detenzione di uccelli selvatici in gabbie.
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Avv. Elisa Scarpino

Responsabile rivista online "Diritto degli animali. Profili etici, scientifici e giuridici".

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Avrete sentito parlare dei c.d. richiami vivi, ma cosa (chi) sono esattamente?

Con il termine “richiamo vivo” si intende un uccello della stessa specie di quella che si vuole catturare in una battuta di caccia.

Questo uccellino, rinchiuso per tutta la vita in una gabbia, è collocato in prossimità dell’area di tiro affinché i suoi simili, riconoscendone il suono vocale, si avvicinino e possano essere colpiti facilmente dalle doppiette.

Per svolgere questa funzione, gli animali vengono collocati per tutta la durata della primavera e dell’estate in scantinati al buio e al freddo, all’interno di gabbiette di circa trenta centimetri, spesso in precarie condizioni igieniche, e senza che a questi sia più permesso il volo con conseguente atrofizzazione delle ali o piaghe alle zampe.

Come mai sono collocati al buio, vi domanderete?

La risposta è presto detta: per indurre l’animale a scambiare la stagione dell’autunno e dell’inverno (quella di caccia) con la primavera e l’estate così che il volatile, chiuso al buio durante i mesi più caldi, abbia l’impressione di trovarsi in inverno.

Quando questo sarà portato alla luce, come anticipato, sempre in gabbia e posizionato nella zona dell’appostamento comincerà a emettere i propri suoni attirando nella trappola i suoi simili e svolgendo quella è che la funzione, quindi, del richiamo vivo.

Ciò avverrà fino alla sua morte, ma raramente gli animali, date le condizioni in cui vengono ristretti, vivono a lungo.

Nonostante sia una pratica crudele, brutale e assolutamente non giustificata e giustificabile, essa è ancora legale ed anzi, nonostante la maggior parte delle persone sia contraria a un utilizzo siffatto di questi animali, assistiamo a continui tentativi di allargare sempre maggiormente la portata di questa autorizzazione.


Vediamo nel dettaglio cosa prevede la normativa in materia.

Secondo l’art. 4 della Legge 157/92, le specie che possono fungere da richiami vivi sono: allodola, cesena, tordo sassello, tordo bottaccio, storno, merlo, passero, passera mattugia, pavoncella e colombaccio.

Gli uccelli da richiamo vanno, poi, marcati con un anello inamovibile. Oltre alle normative statali, e regionali, l’art. 66, paragrafo 8 del Reg CE 865/2006 dispone che: “Gli uccelli (..)sono marcati mediante inanellatura della zampa recante una marcatura individuale.Tale inanellatura della zampa avviene mediante un anello o nastro costituente un cerchio continuo, senza giunti né interruzioni, che non abbia subito alcun tipo di manomissione, fabbricato industrialmente a tal fine e applicato nei primi giorni di vita dell’animale; il suo diametro deve essere tale da impedire la rimozione dalla zampa dell’uccello quando questa sia pienamente sviluppata.”

Quindi, ogni esemplare di uccello deve essere provvisto di un anello cilindrico inamovibile in metallo, infilato con una manovra al tarso dell’animale quando questo è ancora nidiaceo, in modo che con la crescita dell’animale e di conseguenza della grossezza della sua zampa, l’anello risulti non più sfilabile.

L’uso dei richiami vivi per la caccia è ancora consentito nel nostro paese, a condizione che provengano da allevamenti.


La procedura di infrazione avviata nei confronti dell’Italia e la modifica alla Legge 157/92.

La Commissione europea nel 2014 ha attivato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia riguardo la cattura e l’utilizzo degli uccelli selvatici come esche viventi (ritenendo altresì che vi siano numerose alternative alla cattura di uccelli a fini di richiamo e che la caccia possa avvenire senza l’utilizzo dei richiami).

La Commissione ha denunciato, in particolare, la non selettività dei metodi di cattura, l’assenza di controlli nonché di trasparenza sull’effettivo numero di richiami detenuti dai cacciatori, chiarito che l’Italia era venuta meno agli obblighi della direttiva Uccelli (Direttiva del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici, recepita attraverso la Legge n. 157 dell’11 febbraio 1992, successivamente abrogata e sostituita integralmente dalla versione codificata della Direttiva 2009/147/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009) e ha chiesto al Governo Italiano di sanare con urgenza la situazione.

La Direttiva, all’art. 8, stabilisce: “Per quanto riguarda la caccia, la cattura o l’uccisione di uccelli nel quadro della presente direttiva, gli Stati membri vietano il ricorso a qualsiasi mezzo, impianto o metodo di cattura o di uccisione in massa o non selettiva o che possa portare localmente all’estinzione di una specie, in particolare quelli elencati all’allegato IV, lettera a)”.

I metodi di cui all’allegato IV, lett. a) sono: “Lacci, vischio, esche, uccelli vivi accecati o mutilati impiegati come richiamo, registratori, apparecchi fulminanti, sorgenti luminose artificiali, specchi, dispositivi per illuminare i bersagli, dispositivi ottici equipaggiati di convertitore d’immagine o di amplificatore elettronico d’immagine per tiro notturno, esplosivi, reti, trappole, esche avvelenate o tranquillanti e armi semiautomatiche o automatiche con caricatore contenente più di due cartucce.”

La Comunità europea, attraverso la normativa menzionata, ha imposto di vietare i richiami vivi di cattura, ritenendo leciti soltanto quelli provenienti da allevamenti autorizzati, muniti di contrassegni che consentano di identificarli come tali.

Pertanto, l’Italia, al fine di evitare l’infrazione, con l’articolo 21 della “Legge europea 2014”, ha vietato la cattura non selettiva degli uccelli migratori per farne dei richiami da caccia, modificando il comma 3 dell’art. 4 della Legge 157/92.

Oltre alla Legge 157/92, completa la disciplina italiana il D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357, e successive modifiche e integrazioni.


I c.d. roccoli e un’importanza sentenza.

I i c.d. roccoli (appostamenti di montagna dove sono posizionate reti che mirano a catturare gli uccelli in volo) sono considerati metodi non selettivi (e pertanto illeciti ai sensi della Direttiva Uccelli) che mettono in pericolo l’avifauna sulle rotte migratorie catturando ogni tipo di piccolo uccello canoro. Nelle reti infatti restano impigliati volatili di ogni specie, con tutti i possibili traumi che possano derivare dall’essere catturati dalle invisibili trame delle reti per creature che pesano solo pochi grammi.

Su tale punto si è espresso il Consiglio di Stato, con un’ordinanza del 12 dicembre 2019, che ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la chiusura dei roccoli su un tema sul quale si era già espresso negativamente il TAR.

Il ricorso, in particolare, chiedeva di annullare l’ordinanza del Tar Lombardia di sospensione della delibera della Regione Lombardia che riapriva illegittimamente i “roccoli” per la cattura di 12.700 uccelli selvatici da destinare a richiami vivi per la caccia da appostamento. In quel caso vi era stata l’ordinanza del TAR, il parere negativo di ISPRA, la pronuncia contraria della Commissione europea e l’annullamento della delibera regionale da parte del Consiglio dei Ministri.

Il Presidente  del Consiglio di Stato, che ha firmato l’ordinanza condannando anche alle spese legali i cacciatori, ha ribadito che le catture degli uccelli con le reti, anche in forma di deroga autorizzata, sono illegali, per contrasto con la Direttiva europea sulla tutela della  fauna selvatica e con la legge statale 157/92 sulla caccia, e che il concetto di “assenza di soluzioni alternative” alla concessione delle deroghe “non si riferisce a meri inconvenienti o a risultati che non raggiungano il gradimento dei cacciatori, bensì alla vera e propria impossibilità di ricorrere ad alternative, quali appunto l’allevamento o, ben più agevolmente ed auspicabilmente, l’impiego di richiami manuali o a bocca” .


Le alternative.

Ai cacciatori, in alternativa ai richiami vivi, la normativa già ora consente di utilizzare fischietti o altri strumenti a bocca o a mano, oltre a stampi in plastica raffiguranti specie cacciabili.

Da rilevare che, ai sensi dell’art. 21, lett. r) della L. 157/92, è, invece, vietato l’uso di richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono.


Richiami vivi e condotte illegali.

Gli animali utilizzati per questa pratica purtroppo sono spesso frutto anche di catture illegali.

Condotte punibili si possono rinvenire quando, a titolo esemplificativo, ad animali catturati illegalmente vengono applicati anelli più grandi oppure quando viene rimosso l’anello di un esemplare regolare deceduto e apposto su un nuovo esemplare catturato illecitamente o ancora quando vengono posizionati anelli invece destinati ad altre specie.

Il controllo operato dal personale competente sullo sfilamento dell’anello, sul numero riportato e sulle condizioni di detenzione dell’animale risulta fondamentale al fine di provvedere, in caso di illecito, al sequestro dell’animale e alla contestazioni di diversi reati fra i quali si può citare, ad esempio, il maltrattamento di animali di cui all’art. 544 ter c.p., la detenzione di animale in condizioni incompatibili ai sensi dell’art. 727, comma II, c.p., la “Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli o strumenti contraffatti“, che punisce chiunque contraffà il sigillo di un ente pubblico o di un pubblico ufficio, ovvero, non essendo concorso nella contraffazione, fa uso di tale sigillo contraffatto, con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1032, ai sensi dell’art. 468 c.p., il furto venatorio aggravato ai sensi degli artt. 624 e 625, n. 7, c.p. commesso su fauna selvatica che costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ai sensi dell’art. 1 della legge 157/92, l’“uccellagione” prevista ai sensi dell’art. 3 della L. 157/92 (le sanzioni sono indicate nell’art. 30 della medesima Legge), la frode nel commercio ai sensi dell’art. 515 c.p. o la ricettazione (di avifauna) ai sensi dell’art. 648 c.p.

Sulle modalità di detenzione dei richiami vivi, si può citare la sentenza numero 2341/13 del 17 gennaio 2013 con la quale la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha riconosciuto il reato di detenzione di animale in condizioni incompatibili di cui all’articolo 727, comma II, c.p. nella condotta di detenzione di uccelli in gabbie anguste.

Nel testo della sentenza si legge:

il detenere uccelli in gabbie anguste piene di escrementi, essendo l’inadeguata dimensione delle gabbie attestata dal fatto che gli uccelli hanno le ali sanguinanti, avendole certamente sbattute contro la gabbia in vani tentativi di volo, integra il reato di cui all’articolo 727 comma 2 del Codice Penale poiché, alla luce del notorio, nulla più dell’assoluta impossibilità del volo è incompatibile con la natura degli uccelli.


Conclusioni.

Si auspica l’abbandono dell’utilizzo dei richiami vivi avvalendosi delle alternative già previste e che le Regioni, nell’ambito del proprio margine di competenza, vogliano contenere nella legalità il mondo dei richiami e non incentivare i traffici illeciti che si nascondono dietro queste pratiche in ottemperanza alle norme italiane, europee ed ai provvedimenti di natura amministrativa.

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