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Tutela penale degli animali: la prospettiva del P.M. e del Giudice

Alcune riflessioni sorte dall’esperienza pratica e suggerite da operatori del settore che spesso richiedevano la soluzione di problemi giuridici.
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Annalisa Palomba

Magistrato con funzioni giudicanti al dibattimento penale. Laureata in giurisprudenza con una tesi in diritto urbanistico sulla contaminazione dei siti da rifiuti. Ricercatrice in diritto amministrativo e già avvocato amministrativo per regione ed enti locali principalmente in diritto dell’ambiente. Sostituto procuratore presso la Procura di Ivrea e Varese con specializzazione in fasce deboli e diritto dell’ambiente nonché tutela degli animali.

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Come è noto, la legge 189 del 2004, con un nuovo intervento del legislatore, ha dimostrato la necessità di adeguare il codice penale alla mutata sensibilità sociale del fenomeno animale, così ritenerndosi superata la restrittiva interpretazione del concetto di animale, annoverando ogni essere vivente appartenente al genere animale, senza esclusione alcuna tra animali d’affezione ed animali che non lo siano, tra vertebrati invertebrati (diversamente dal D.lgs n. 116/92 che garantisce solo le cavie da laboratorio che siano vertebrati).

Dopo aver svolto le funzioni di pubblico ministero — ed ora di giudice del dibattimento penale — posso svolgere alcune riflessioni sorte proprio dall’esperienza pratica (in sede di indagini preliminari e nelle aule processuali) e suggeritemi da operatori del settore (enti non a scopo di lucro a tutela degli animali, guardie zoofile, guardia parco, guardie provinciali etc) che spesso richiedevano la soluzione di problemi giuridici, urgenti e rilevanti al contempo.

L’elemento ostativo più pressante è certamente quello economico. La Corte di Cassazione ha trattato tale questione nella nota decisione sulla detenzione di crostacei a basse temperature in frigorifero (con le chele legate, prima della cottura, in acqua bollente) precisando che «la detenzione dei crostacei secondo modalità per loro produttive di gravi sofferenze e, per altro, adottate per ragioni di contenimento di spesa, con la conseguenza che, nel bilanciamento tra interesse economico e interesse (umano) alla non-sofferenza dell’animale, è quest’ultimo che, in tal caso, deve ritenersi prevalente e quindi penalmente tutelato, in assenza di norme o di usi riconosciuti in senso diverso» (cfr. Corte di Cassazione Penale, Sez. 3a, sentenza n° 30177 del 16/06/2017, Ud. 17/01/2017).

In un altro caso, invece, sempre la Corte di Legittimità ha sancito come corretto il comportamento di un giudice di primo grado che aveva autorizzato la cessione dei bovini sequestrati alla stessa titolare dell’azienda agricola, destinataria del provvedimento ablativo reale, per la conseguente macellazione, trattandosi di “merce deperibile” ex art. 260 comma 3 c.p.p. ed i cui costi di mantenimento erano eccessivi rispetto al valore intrinseco dell’animale.

La giurisprudenza è multiforme e contraddittoria, in merito alla destinazione degli animali da macello maltrattati: la Corte di Cassazione ha di recente precisato che è possibile che gli animali da allevamento, sequestrati perché tenuti in condizioni incompatibili con la loro natura etologica, vengano ceduti per la macellazione, con la retrocessione degli introiti alla LAV che nel caso concreto aveva presentato un ricorso circa la restituzione delle somme vincolate sul Fondo Unico Giustizia (cfr. Corte Cass. n. 53341 del 12 settembre 2018). Rifugge infatti alla coscienza e sensibilità delle associazioni animaliste, nonché delle persone dotate di compassione per esseri senzienti, la circostanza che mucche o maiali che abbiano subito plurimi maltrattamenti, una volta sottratti alle sofferenze cui erano destinati, vengano comunque destinati al macello.

In mancanza di previsioni positive specifiche in tal senso, in particolare nelle more dello svolgimento del processo, dal primo grado sino alla Corte di Cassazione, gli esiti possono essere più disparati, senza che sotto il profilo normativo o disciplinare, allo stato, possa essere premiata o condannata una determinata interpretazione.

Il tema contingente è ancora quello del costo del mantenimento dell’animale ed il luogo ove è custodito dove si incontrano le opposte esigenze di salvaguardia di una nuova vita serena dell’animale, rispetto alle esigenze contrapposte dell’imputato che chiede di limitare i costi di giustizia a suo carico sino al terzo grado di giudizio, eliminando di fatto l’animale, pur essendo “essere senziente” in forza del Trattato di Lisbona, ratificato in Italia con la legge n. 130/2009.

Altra questione correlata è poi l’estraneità dal sequestro dei figli nati da animale maltrattato, in costanza di sequestro, ritenuti non confiscabili ex art. 544 sexies cod. pen. (Cass. Pen. n. 20934 del 21.3.2017).

Come ho anticipato in premessa, le questioni giuridiche che generalmente il magistrato deve affrontare in tema di reati nei confronti degli animali sono le seguenti:

  • Chi sia il soggetto onerato dei costi da affrontare durante la custodia di animali in sequestro (spesso i reati si configuravano unitamente ad abusi edilizi);
  • Quale sia la destinazione degli animali sequestrati (ove non vi sia la confisca prevista dalla legge) con riferimento precipuo agli animali da allevamento;
  • Come vadano individuate le condotte omissive di veterinari nei macelli che non segnalano condizioni incompatibili con le esigenze etologiche dell’animale, pur riscontrati scientificamente ad esito di sequestri e quindi connessi a mancate segnalazioni da parte di tali soggetti (condotte peraltro difficilmente comprovabili perché spesso vi è negligenza tra il veterinario ed il titolare del macello);
  • Su chi ricada competenza per gli interventi, anche notturni, a tutela della fauna selvatica ferita investita.
  • La commistione tra funzione di cacciatore e guardia provinciale, con ovvie conseguenze di omertà e collusione con altri cacciatori;
  • L’esigenza di inquadramento tra la fattispecie di cui all’art. 544 bis o 727 bis cp nell’ambito di un organico protocollo di indagine.
  • La questione, sorta negli ultimi tempi, delle circolari di molte Procure sulla limitazione del sequestro penale dell’animale (per ovvii motivi di escludere la custodia) con preferenza al sequestro “amministrativo” dell’animale da affezione;
  • Il problema della impossibilità di qualificare la guardia particolare giurata delle associazioni zoofile riconosciute, nominate con decreto prefettizio, quale agente di polizia giudiziaria e quindi l’impossibilità di effettuare controlli venatori, anche in mancanza di un numero adeguato di guardie provinciali o comunque prima dell’intervento delle stesse;
  • Il rapporto tra le norme del codice penale e le leggi speciali (caccia, pesca, allevamento, vivisezione, attività circense etc).
  • Da ultimo, la responsabilità del veterinario per lesioni od omesse diagnosi ad animali da affezione.

Sulla destinazione degli animali in sequestro va evidenziata la lacuna normativa, idonea a disciplinare ad hoc la questione, in quanto le norme generali previste per i casi di sequestro probatorio e preventivo, mal si attagliano alla fattispecie relativa ad esseri senzienti.

Sui costi, allo stato, una sentenza guida va considerata quella della Corte di Cassazione (n. 18167 dell’11 aprile 2017) che ha disposto che in caso di confisca dell’animale, qualora le associazioni od altri enti non ne facciano richiesta, spetta al Comune  sopportare le spese di mantenimento degli animali, in quanto il DPR 31 marzo 1979 (ed ancora prima il DPR 320/1954) dispone che il Sindaco, portatore delle attribuzioni di polizia veterinaria, vanti una posizione di garanzia circa l’obbligo di far fronte alle spese degli animali confiscati, a maggior ragione se cani o gatti, in forza della legge 281/1991.

Circa il problema dell’intervento in caso di ferimento ad animali da affezione (non diversamente nel caso di animali selvatici), la Corte di Cassazione ha precisato che la competenza ricade sui veterinari del servizio delle ASL che hanno l’obbligo (anche ai sensi dell’art. 14 del codice deontologico dei medici veterinari) nei casi di urgenza, di prestare le prime cure agli animali nella misura delle loro capacità e rapportate al contesto, eventualmente anche solo attivandosi per assicurare ogni specifica ed adeguata assistenza (Corte di Cassazione n. 38409 del 9 agosto 2018).

Altra questione risolta a colpi di decisione di Tribunali di merito riguarda non solo le condizioni di allevamento, ma soprattutto quelle di trasporto degli animali da macello. Le sentenze, per i più sensibili, sembrano riprendere scene dantesche, quali quella affrontata (tra tutte) dal Tribunale di Lodi del 2009, che ha condannato per maltrattamento il veterinario dell’ASL, il trasportatore ed il titolare del macello, per aver sottoposto ad inutili vessazioni e sevizie gli animali in prossimità della macellazione, in quanto trasferiti mediante forche dei carrelli elevatori o trascinamento al predetto carrello con filo metallico applicato alla zampa (condizione che si verifica in caso di mucche da latte a fine vita, ovvero di animali che non presentano compliance alla macellazione per pregressi stati morbosi e patologici non curati); o ancora quella risolta dal Tribunale di Torino del 2008 dei maialini esposti per lunghi giorni a temperature elevate durante il trasporto, senza somministrazione di acqua e cibo, morti durante il trasferimento ed altri giunti esanimi a destinazione sotterrati dalle carcasse di quelli già deceduti, destinati a perire tra il vomito, feci e urine presenti nel rimorchio.

Per queste fattispecie viene in rilievo la figura del veterinario delle ASL. Inutile dire che il veterinario incaricato dalle ASL è un pubblico ufficiale ex art. 358 cp, con obblighi di controllo e certificazione, nonché denuncia ex art. 331 cpp. Se l’animale giunge coricato sul camion è necessario abbatterlo sullo stesso per evitare inutili sofferenze (in forza dell’art. 12 del D.lgv. 333/1998). Del resto, l’obbligo di protezione dell’animale si estende anche al benessere delle condizioni di vita degli stessi che discende dal c.d. pacchetto igiene (il regolamento 853 e 854/2004) che impone che l’animale che arrivi sano e pulito al macello e il veterinario ufficiale deve visitato perché non ci siano segni di compromissione del benessere. Tale ultimo obbligo normativo non viene quasi mai rispettato, in quanto nelle funzioni di pubblico ministero mi occupavo della materia della tutela penale alimentare (la c.d. normativa HACCP sui prodotti alimentari) e capitava di frequente il sequestro della carne macellata per rinvenimento nel controllo casistico sui fegati dei bovini di sostanze vietate (spesso medicinali che i carabinieri dei NAS definiscono come performanti alla macellazione). Questo significa che i registri degli animali non sono stati controllati oppure vi è stata una collusione del veterinario controllante l’allevamento rispetto al titolare dell’allevamento sulle condizioni di salute dell’animale, finalizzata a consentire la cessione economica della bestia da allevamento.

Un ultimo tema da affrontare è quello delle circolari di molteplici Procure (sottopostemi all’attenzione), in forza delle quali il sequestro penale di animali da affezione deve considerarsi extrema ratio e recessivo rispetto a quello amministrativo cautelare disciplinato dagli art. 50 e 54 del D.lgv. 267/2000, convalidato dal direttore dell’organo di polizia municipale (ed avvero il quale è ammesso ricorso al Giudice ordinario ex art. 22 e ss Legge 689/1981)

Sono plurime le problematiche che restano pertanto aperte e che necessitano di un nuovo intervento legislativo dopo 16 anni dall’entrata in vigore della Legge n. 89/2004, cui ha sopperito una giurisprudenza creativa, sfruttando la nuova concezione di essere senziente, capace di soffrire. Infine, le pene sono miti e non sono accompagnate da pene accessorie tali da costituire maggiore funzione deterrente.

La carrellata di questioni offerte al lettore dimostra la necessità, nonostante una attenta giurisprudenza creatrice dei Tribunali di merito e della Corte di Legittimità, sollecitata soprattutto dalla matura ed approfondita preparazione delle associazioni animaliste che si costituiscono parte civile, di un intervento normativo urgente e compensatore di tali carenze.

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