Collare antiabbaio, è maltrattamento di animali

La Cassazione conferma la linea che punisce come maltrattamento l'utilizzo dei collari elettrici (Cass. pen. 3290/2018)
Avv. Annalisa Gasparre

Avv. Annalisa Gasparre

Avvocato, dottore di ricerca, vanta una decennale esperienza nel settore della tutela degli animali e dei soggetti deboli. Sito internet

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Il Tribunale di Verona condannava l’imputato alla pena di Euro 800 di ammenda per il reato di maltrattamento dei propri cani che venivano detenuti con collari c.d. “antiabbaio”, aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all’abbaiare del cane, in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze.

La giurisprudenza ha affermato che ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 727 c.p. non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull’animale, né che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti.

Proprio in merito all’uso del c.d. collare antiabbaio – che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza – la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il suo utilizzo integra il reato di cui all’art. 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale.

Dal punto di vista dell’elemento oggettivo della fattispecie contravvenzionale si è chiarito che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione.

Ancora più efficacemente è stato osservato che il concetto di “abbandono”, oltre alla condotta di distacco volontario dall’animale, include anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione, inclusi comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia.

Nel caso di specie, la condanna va confermata. Sussisteva il fatto tipico di reato perché risultava accertato che i due cani si trovavano all’interno di un recinto sito nei pressi di un capannone, muniti di collare antiabbaio funzionante, in quanto all’avvicinarsi dei verbalizzanti gli stessi non avevano abbaiato. Tale collare era permanentemente indossato dagli animali.

Sul tema, oltre ai numerosi contributi su questa Rivista, con particolare riferimento ai maltrattamenti connessi al collare “antiabbaio”, eventualmente, Gasparre, Diritti degli animali. Antologia di casi giudiziari oltre la lente dei mass media, Key editore.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03/10/2017) 24-01-2018, n. 3290

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –
Dott. ROSI Elisabetta – rel. Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.A., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 03/06/2014 del TRIBUNALE di VERONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ROSI ELISABETTA;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ANGELILLIS CIRO;

Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio PER PRESCRIZIONE.

Svolgimento del processo

  1. Con sentenza del 3 giugno 2014, il Tribunale di Verona ha condannato D.A. alla pena di Euro 800 di ammenda, per il reato, così derubricata fattispecie di cui all’art. 544 ter c.p., in art. 727 c.p., comma 2, di maltrattamento dei propri cani che venivano detenuti con collari c.d. “antiabbaio”, aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all’abbaiare del cane, in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze, fatto accertato in (OMISSIS) il (OMISSIS).
  2. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto personalmente ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: 1) Inosservanza od erronea applicazione della legge penale, considerato che i setter erano stati trovati in buona salute, che non risulta effettuata consulenza tecnica sugli animali, per cui difetta il requisito essenziale costituito dalle lesioni, che ha giustificato la derubricazione nell’ipotesi contravvenzionale, ma manca comunque la prova che l’avere apposto i collari antiabbaio costituisca condotta incompatibile con la natura dei cani o che abbia recato loro sofferenze, essendo evidente che i collari servivano ad evitare che fosse provocato disturbo ai vicini;

2) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione della responsabilità per il ritenuto reato di cui all’art. 727 c.p., comma 2, in quanto il Tribunale non ha dato conto delle modalità di utilizzo del collare illustrate dal ricorrente, che non risultava essere stato acceso il giorno del sopralluogo e che veniva acceso solo in via eccezionale e sorvegliata;

3) Richiesta di pronunciare, ex art. 129 c.p.p., l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Motivi della decisione

  1. Giova premettere che le censure prospettate dal ricorrente con i primi due motivi di ricorso tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità – in sede di controllo sulla motivazione – non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili.
  2. Per quanto attiene al reato di cui all’art. 727 c.p., la giurisprudenza di legittimità ha affermato (cfr. Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, Mollaian, Rv. 238602), che ai fini dell’integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull’animale, nè che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti.
  3. In particolare, proprio in merito all’uso del c.d. collare antiabbaio – il produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza – la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il suo utilizzo integra il reato di cui all’art. 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale(così Sez. 3, n. 38034 del 20/06/2013, Tonolli, Rv. 257685; Sez. 3, n. 21932 del 11/02/2016, Bastianini, Rv. 267345; Sez. 3, n. 15061 del 24/01/2007, Sarto, Rv. 236335).
  4. Per quanto attiene poi alla sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 727 c.p., è stato precisato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animaliper la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione (cfr. Sez. 7, ord. n. 46560 del 10/07/2015, Francescangeli e altro, Rv. 265267). E comunque per “abbandono” si intende non solo la condotta di distacco volontario dall’animale, ma anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione, inclusi comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia (cfr. Sez. 3, n. 18892 del 02/02/2011, Mariano, Rv. 250366).
  5. Orbene, nel caso di specie, la parte motiva della sentenza impugnata non presenta errori giuridici od illogicità, poichè il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, evidenziando la sussistenza del fatto tipico, in quanto era risultato accertato che i due cani si trovavano all’interno di un recinto sito nei pressi di un capannone, muniti di collare antiabbaio funzionante, in quanto all’avvicinarsi dei verbalizzanti gli stessi non avevano abbaiato; la circostanza che tale collare era permanentemente indossato dagli animaliera stata altresì confermata dal teste P.; il giudice di prime cure aveva tratto ulteriori argomenti per motivare il proprio giudizio di responsabilità dall’assunzione delle testimonianze del CT del pubblico ministero sul funzionamento dei collari e del medico, CT della parte civile, ricavando conferma della sussistenza del reato anche dal punto di vista soggettivo. In definitiva, questa Corte ritiene che il giudice di merito abbia fornito congrua motivazione quanto alla affermata responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 727 c.p., di talchè le censure risultano manifestamente infondate con conseguente inammissibilità del ricorso.
  6. Tale declaratoria impedisce che possa dirsi formato un rapporto impugnatorio, sicchè non può essere rilevata l’estinzione del reato intervenuta successivamente alla pronuncia di primo grado (cfr. sez. U, n. 12602/16 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 26681), come vorrebbe il ricorrente quanto al terzo motivo, pertanto anch’esso inammissibile.

Di conseguenza, in forza del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila Euro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2018

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