A che punto sono i metodi alternativi?

Una visita a ECVAM (European centre for validation of alternative methods) di Ispra (VA) consente di fare il punto sull'avanzamento dei metodi alternativi.
Paola Sobbrio

Paola Sobbrio

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Grazie alla possibilità offerta da due europarlamentari del Movimento 5 Stelle, Eleonora Evi e Marco Zullo, con una delegazione di circa 20 persone del mondo dell’associazionismo siamo riusciti ad entrare nella mitica — per chi si occupa come me di sperimentazione animale — roccaforte della ricerca e della convalida dei metodi alternativi alla sperimentazione animale: l’ECVAM (European centre for validation of alternative methods).

La visita è iniziata con l’introduzione al JRC (Joint Research Centre) che si trova ad Ispra (Va) e con la spiegazione delle competenze dell’area più generale in cui l’ECVAM è inserito, ossia il “Direttorato Salute, consumatori e materiali di riferimento”. Devo essere sincera: le Istituzioni Europee viste da vicino sono molto affascinanti ma anche difficilmente intellegibili. Ad esempio, non mi è stato chiaro come e se questo “Direttorato Salute, consumatori e materiali di riferimento” si differenzi dalla EFSA (European Food Safety Authority, con sede a Parma). Visto così, senza un debito approndimento, mi è sembrato di capire che al JRC si fa ricerca mentre all’Efsa si producono Report che dovrebbero — il condizionale è d’obbligo _ fare riferimento ai dati prodotti anche al JRC. È così o non lo è? Confesso che non l’ho capito, per cui mi riservo di approfondirlo.

Ma veniamo al motivo della nostra visita: l’ECVAM. A che punto sono i metodi alternativi e l’iter che porta alla loro validazione che tipo di iter è? Rispondere a questo due semplici domande non è semplice.

Da quanto è emerso ieri, è tutto molto complesso. Del resto la complessità è un dato di fatto dell’era moderna.

A fronte di studi sul “modello animale” prodotti e pubblicati in quantità industriale, grazie, si fa per dire, anche all’uso delle migliaia di linee di topi geneticamente modificati pure per riprodurre l’unghia incarnita e visti come validi “a prescindere”, la validità del metodo alternativo — anche se io preferirei chiamarlo sostitutivo — è non valida a prescindere, salvo prova contraria. Per validare un metodo alternativo/sostitutivo ci vogliono anni.

Un’incoerenza del sistema della ricerca assurdo che nonostante l’onestà di tanti ricercatori che lo hanno, finalmente, capito tarda ad affermarsi nel mondo della ricerca.

Ancora oggi dobbiamo sentire dire che le migliori riviste (quelle che servono a far carriera, per intenderci) non pubblicano i risultati degli studi che non fanno uso del modello animale. Per non parlare dei finanziamenti: ECVAM è finanzato dall’Unione Europea ma quanti laboratori che non usano il modello animale sono finanziati in Italia e con che cifra? La ricerca senza l’uso del modello animale, soprattutto in tossicologia, è LA ricerca per eccellenza. Eppure, il regolamento REACH spinge verso il modello animale, su cui devono essere testate le nuove sostanze chimiche da immettere in commercio. E le interazioni tra le nuove e le vecchie e l’epigenetica? Domande non pervenute, evidentemente, al regolatore europeo, che probabilmente, come ha fatto con la direttiva 63/2010, ha preferito accontentare lobbies varie perdendo l’occasione di puntare ad una vera ricerca a tutela dei cittadini.

Come ho avuto modo di scrivere qui le 3R (REDUCE-REFINE-REPLACE) su cui punta la direttiva sulla protezione degli animali da esperimento — per inciso, senza aggiungere nulla di nuovo alla direttiva del lontano 1986 — per divenire principio efficace devono essere implementate attraverso finanziamenti di ricerche che non prevedano l’uso di animali e bisogna riconsiderare radicalmente l’ingegneria genetica applicata agli animali non umani, che un giorno, non molto lontano spero, scopriranno aver contribuito a rallentare la ricerca scientifica.

Sarebbe molto importante, infine, come è emerso ieri nel costruttivo dialogo con i ricercatori ECVAM (persone preparate, disponibili e motivate a fare progressi nella ricerca senza l’uso di animali) che i ricercatori che usano il modello animale seguano corsi di aggiornamento periodici sui metodi alternativi. Scommetto che molti di coloro che utilizzano gli animali prima di presentare il modello per fare ricerca su animali non si accertano neanche del fatto che per quella ricerca esiste oppure è in corso di validazione un metodo alternativo/sostitutivo, eppure la direttiva 63/2010 prevede che questo debba essere fatto OBBLIGATORIAMENTE.

Del resto credo che ancora i protocolli di ricerca vengano compilati su cartaceo e sempre su cartaceo vengano vagliati dai comitari etici, che, sarei curiosa di vedere, quante ricerche valutano negativamente.

Insomma, la ricerca che usa il modello animale si basa su una nebulosa che va a svantaggio di tutti gli animali, non umani ed umani.

Per chi volesse approfondire le attività dell’ECVAM e visionare i database dei metodi validati può visitare il sito web.

Il mio giudizio su questo Centro è assolutamente positivo, ma ciò che manca, come ho detto prima, è la condivisione della conoscenza che produce ECVAM con i centri di ricerca che usano modelli animali. È fondamentale che ECVAM esca dai confini di Ispra e diffonda la conoscenza everywhere.

Ho conosciuto, da quando mi occupo di questi argomenti, ricercatori di istituzioni di ricerca importanti che pur occupandosi di metodi alternativi sono convinti che il modello animale non si possa abbandonare. Questa convinzione l’ho vista ribaltata nei ricercatori dell’ECVAM che hanno, quindi, risollevato il mio pessimismo cosmico sulla capacità dei ricercatori di ribaltare il paradigma su cui si fonda la sperimentazione animale. Nel modello di Kuhn, l’ECVAM ha il ruolo di mettere in crisi il paradigma, ma questo ruolo lo può avere qualsiasi ricercatore intellettualmente onesto che voglia mettere il discussione il paradigma dominante o perlomeno dubitarne.

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