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Protezione degli animali negli allevamenti: cosa dice la direttiva 98/58/CE?

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Laura Cuttini

Laureanda in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sugli allevamenti intensivi. Da diversi anni attivista nel settore ambientale e animale, è attualmente impegnata nello studio della relazione tra uomo e animale ed è convinta che la diffusione dell’informazione su questi temi possa portare ad agire più consapevolmente e nel rispetto dei più deboli.

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A cavallo del millennio, la crescente sensibilità dei cittadini europei nei confronti degli animali ha portato a una sempre maggiore pertinenza della normativa europea in merito alla tutela del loro benessere, fino ad arrivare al riconoscimento degli animali come “esseri senzienti” (per approfondimenti, clicca qui – link sull’art. 13 TFUE).

L’aumento dell’interesse nell’opinione pubblica rispetto al tema è continuato anche negli ultimi anni. A questo proposito, un sondaggio somministrato dalla Commissione europea a marzo 2023 ha evidenziato che il 90% dei cittadini europei richiede il rispetto di “requisiti etici di base” nell’allevamento, e il 60% si dice disposto a spendere di più per acquistare prodotti provenienti da sistemi di allevamento rispettosi del benessere degli animali.

Alla luce della promessa revisione della normativa sugli animali allevati, che purtroppo è stata disattesa dalla Commissione europea, si ritiene utile capire, ad oggi, quale sia il panorama legislativo che sottende la tutela di questi animali e quali le sue debolezze.

Quando e perché il legislatore europeo ha adottato la direttiva 98/58/CE?

Il legislatore comunitario si è occupato della tutela degli animali destinati all’allevamento con diverse convenzioni, seguite da relative norme di applicazione.

In particolare, la direttiva 98/58/CE del 20 luglio 1998 (facendo seguito, con lo scopo di implementarla, alla Convenzione del 10 marzo 1976 sulla protezione degli animali negli allevamenti), ha appunto l’obiettivo di definire le norme minime di protezione degli animali negli allevamenti.

In Italia, la direttiva è stata recepita con il decreto legislativo (d. lgs.) n. 146/2001.

Cosa prevede?

Con questa direttiva si stabiliscono delle norme generali in materia di trattamento degli animali negli allevamenti, tra cui i requisiti di controllo da parte degli addetti che li accudiscono, gli standard di spazio e strutture dove detenere gli animali e quelli relativi alla loro alimentazione.

In attuazione di questa direttiva, ogni Stato membro deve far sìche i proprietari o i custodi adottino misure idonee a garantire il benessere degli animali, in modo che questi abbiano una vita conforme alle specifiche esigenze della specie cui appartengono (art. 4) e non patiscano «dolori, sofferenze o lesioni inutili» (art. 3).

Per realizzare questo obiettivo, gli Stati dell’Unione devono provvedere a far sì che le autorità competenti effettuino ispezioni per garantire il rispetto di quanto stabilito nella direttiva, dovendo poi presentare alla Commissione una relazione in proposito.

La direttiva stabilisce anche che all’operato delle autorità statali possa affiancarsi quello di esperti veterinari nominati dalla Commissione stessa (art. 7). L’obiettivo è duplice: a) verificare che gli Stati membri si conformino ai requisiti richiesti dalla direttiva; b) effettuare controlli sul posto per assicurarsi che le ispezioni vengano effettuate come prevede la direttiva.

Quali sono i limiti di questa direttiva?

Nonostante la direttiva 98/58/CE miri a implementare la tutela degli animali allevati, accendendo quindi un faro sulla questione del benessere animale, ci sono degli evidenti limiti che meritano di essere rilevati, soprattutto alla luce delle intenzioni di riforma espresse dalle istituzioni europee.

Protezione parziale

La direttiva 98/58/CE è parziale tanto nei destinatari quanto nella salvaguardia del benessere animale.

Parziale rispetto ai destinatari, in quanto non si applica agli invertebrati, come ad esempio i cefalopodi (tra i quali rientrano seppie, totani, calamari e polipi); e ciò appare particolarmente significativo poiché, d’altra parte, questi animali sono tutelati da un’altra direttiva europea, la 63/2010/UE, che riguarda la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici.

Parziale nella salvaguardia del benessere animale perché, ai sensi del paragrafo 20 dell’allegato alla direttiva, permette le mutilazioni (sebbene solo se autorizzate dalla normativa nazionale).

Linguaggio vago

La direttiva è poi scritta con termini talmente elastici e ampi da inficiarne l’applicazione, facendo sorgere il dubbio che a non essere chiaro sia lo stesso obiettivo per cui è stata scritta. Si deve notare, infatti, che la direttiva è ricca di espressioni ambigue che, di fatto, non forniscono degli standard minimi concretamente quantificabili, e non permettono quindi di individuare con precisione i limiti superati i quali si può parlare di abusi (si pensi a espressioni quali “dolore non necessario”, controllo di un “numerosufficiente di addetti” con “adeguate capacità” ed “esperienza adeguata e conoscenze scientifiche”, o anche “riparo adeguato” e “adeguato periodo di riposo”).

Come è auspicabile che intervenga l’Unione europea?

Sono passati 24 anni da quando questa direttiva è stata adottata.

Si auspica quindi che la protezione degli animali allevati sia oggetto di una rinnovata attenzione e l’attività normativa vada verso un’implementazione che sia, da un lato, più vicina alle richieste di tutela da parte dei cittadini europei e, dall’altro, più compatibile con quanto le più recenti acquisizioni scientifiche ci dicono rispetto alla questione del benessere animale.

È necessaria, insomma, una normativa più coraggiosa, capace di definire con precisione degli standard minimi di protezione, così da permettere di individuare chiaramente l’abuso e far scattare conseguentemente il sistema sanzionatorio.

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