L’abbandono di animali: condotte tipiche e giurisprudenza

Sotto il termine "abbandono", il codice penale punisce un'ampia serie di condotte che esulano dalle ipotesi tristemente più note dell'abbandono in strada.
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Letizia D'Aronco

Dottoressa in Giurisprudenza, da sempre interessata al tema della tutela giuridica degli animali, dell’ambiente e della biodiversità. Collabora con varie associazioni a tutela degli animali e dell’ambiente, locali e nazionali, e redige articoli sulla tematica animali e diritto.

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L’art. 727 del codice penale, rubricato “Abbandono di animali”, si compone di due commi; il primo comma è focalizzato sull’abbandono di animali domestici o che abbiano acquisito abitudini alla cattività[1] mentre, al secondo comma, l’ipotesi contravvenzionale dell’art. 727 si occupa della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze [2].
Per quanto riguarda la condotta contra legem descritta nel primo comma, è interessante notare, attraverso l’esame di due sentenze riferibili alla giurisprudenza di merito e di legittimità, che in essa sono sussumibili anche contegni umani diversi dall’abbandono inteso come condotta di distacco volontario dall’animale riassumibile nel topos del cane legato al guard rail in autostrada.

Prima di procedere alla disamina delle pronunce giurisprudenziali è utile fare alcune premesse; il reato de quo, in quanto contravvenzione, è punibile sia a titolo di dolo che di colpa e sono previste quali sanzioni la pena detentiva dell’arresto fino ad un anno o, alternativamente, la pena pecuniaria dell’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. La norma incriminatrice parla di animali domestici[3] ma anche di animali che abbiano acquisito abitudini alla cattività; possono essere quindi ricompresi quegli animali selvatici o esotici[4] che abbiano perso l’attitudine alla sopravvivenza in autonomia, come in natura.

Passando quindi all’esame delle sentenze, la prima in esame, risalente al 2011, è della Corte di Cassazione e concerne il caso dello smarrimento di un cane non denunciato dal proprietario[5]; nel caso de quo un cane, munito di microchip, veniva rinvenuto, in condizioni di totale denutrizione e malato, nei pressi della propria abitazione da parte di un soggetto il quale dopo qualche tempo aveva provveduto a fare denuncia al servizio veterinario.

La tesi difensiva addotta può essere così riassunta; il cane si sarebbe smarrito durante una battuta di caccia e a nulla erano valse le ricerche compiute nella immediatezza e anche il giorno seguente, poiché infruttuose. Perciò non sarebbe stata rinvenibile una condotta volontaria di abbandono in capo all’imputato.

La Suprema Corte giungeva invece a condannare l’imputato, confermando la pronuncia di merito[6], reputando la certezza della condotta di abbandono desumibile da due elementi sintomatici:

  • il rinvenimento dell’animale presso l’abitazione di altri che provvedeva successivamente a fare denuncia al servizio veterinario;
  • la mancata presentazione della denuncia di smarrimento – ove mai tale circostanza si fosse verificata – da parte del legittimo proprietario del cane.

Da ciò si coglie la poca verosimiglianza della tesi difensiva dello smarrimento, posto che, se ciò fosse davvero avvenuto, proprio perché il cane era dotato di microchip, sarebbe stato logico attendersi che fosse stato il proprietario ad adoperarsi per ritrovare il cane denunciandone la scomparsa.

Infatti, riprendendo le parole degli Ermellini, «anche a voler dare per credibile in via ipotetica la tesi della perdita, a tale supposta perdita non è mai seguito alcun tentativo serio di ritrovamento del cane». Di talché la Corte Suprema di Cassazione è pervenuta alla conclusione di una volontà da parte dell’imputato di abbandonare il proprio cane poiché, «avendo lo stesso fatto trascorrere diversi mesi rispetto alla presunta data di smarrimento senza assumere la benché minima iniziativa volta a riprendere o ricercare l’animale, l’imputato palesa una precisa volontà di non tenere con sé l’animale».

La Cassazione enuclea un concetto fondamentale; la nozione di abbandono enunciata dal primo comma dell’art. 727 c.p. postula una condotta ad ampio raggio che include anche la colpa intesa come indifferenza o inerzia nella ricerca immediata dell’animale.

Quindi non si esige per la punibilità dell’agente soltanto la volontarietà dell’abbandono ma anche l’attuazione di comportamenti inerti incompatibili con la volontà di tenere con sé il proprio animale. Il proprietario di un animale, sia esso d’affezione come nel caso che occupa o che abbia acquisito abitudine alla cattività, deve attivarsi per ritrovarlo in caso di smarrimento.

Nel caso di perdita del proprio cane, sarà quindi necessario:

  • trascorsi due o tre giorni dalla scomparsa, presentarsi al Servizio Veterinario della propria A.S.L. per compilare un modulo in cui saranno indicati i dati relativi all’animale: tatuaggio o microchip, breve descrizione dell’animale e data della scomparsa;
  • dopo la denuncia al Servizio Veterinario presentare una segnalazione anche al Comando Stazione Carabinieri più vicino, corredandola con un foglio (meglio se preparato al computer) con una foto del cane, il numero del tatuaggio o del microchip, la descrizione e i propri dati telefonici.[7]

Concludendo, nel concetto di abbandono rientra anche il non aver più cura del proprio animale con la consapevolezza che non sarà in grado di provvedere a sé stesso come quando era affidato alle proprie cure; la Corte di Cassazione afferma infatti che «il concetto di abbandono come delineato dall’art. 727 c.p. non implica affatto l’incrudelimento verso l’animale o l’inflizione di sofferenze gratuite, ma molto più semplicemente quella trascuratezza o disinteresse che rappresentano una delle variabili possibili in aggiunta al distacco volontario vero e proprio».

Passando ad un’altra vicenda, il Tribunale di Arezzo, nel 2014, ha affermato che integra la contravvenzione de qua anche il costringere il proprio animale a rimanere da solo in casa, allontanandosi prolungatamente dalla propria abitazione per le vacanze od altri motivi.

Come si legge nella sentenza in esame[8], la proprietaria di un cane, un meticcio di piccola taglia, lo aveva lasciato all’interno dell’appartamento di sua proprietà, senza cibo e acqua e costringendolo a muoversi all’interno di una piccola stanza il cui pavimento era ricoperto da urina ed escrementi dello stesso.

I fatti possono essere così riassunti; il brigadiere, escusso in qualità di testimone, era stato contattato da alcuni condomini dell’imputata proprietaria del cane che lamentavano l’abbaiare incessante e da giorni, di un cane, proveniente dall’appartamento abitato dall’imputata.

Il brigadiere «aggiungeva di aver contattato immediatamente l’odierna imputata che si trovava a Siena, la quale precisava di essere andata via da qualche giorno e di non fare immediato rientro, lasciando il cane in casa, con acqua e cibo, poiché non aveva trovato a chi affidarlo». Recatosi quindi presso l’abitazione in questione aveva rinvenuto il cane all’interno di una stanza in condizioni indecenti, con un odore nauseante ed insopportabile e aveva constatato che il cane non aveva nulla da mangiare. Venivano escusse anche due vicine di casa, residenti nel medesimo condominio, le quali riferivano di aver sentito il cane raspare e piangere, paragonando il lamento dell’animale a quello di un pianto di un bambino malato.

Il tribunale di Arezzo afferma che risulta evidente che la proprietaria del cane abbia posto in essere «una condotta contraria a legge configurabile nell’ipotesi del reato contravvenzionale di abbandono», perché aveva abbandonato l’animale all’interno dell’appartamento senza cibo ed acqua; il punto ancora più interessante è che il giudice di merito sancisce un punto chiave: non sarebbe esclusa la responsabilità penale nemmeno nel caso in cui il proprietario lasciasse a diposizione acqua e cibo[9].

È quindi palese la colpa dell’imputata che ha posto in essere atti d’incuria e di negligenza tali da danneggiare l’animale provocandogli una sofferenza consistente in patimenti ed stata perciò condannata alla pena di Euro. 3.000,00 di ammenda.

È importante sottolineare che tale condotta può condurre a conseguenze molto più gravi; può infatti accadere che l’animale, lasciato solo in casa senza acqua e cibo a sufficienza e privato delle cure del proprietario, non riesca a sopravvivere. La responsabilità penale del proprietario non sarà più attinente alla contravvenzione ex art. 727 c. 1 bensì al delitto ex art. 544-bis, rubricato uccisione di animali, in particolare in forma omissiva impropria; il Tribunale di Roma nel 2008 si era infatti espresso con una pronuncia di condanna per il decesso di un gatto lasciato chiuso in casa durante le vacanze e morto per inedia.

Al termine della trattazione di queste sentenze è agevole rilevare che il significato del termine abbandono non è unidirezionale, come del resto si evince dal concetto penalistico di abbandono espresso nell’art. 591 c.p. in tema di abbandono di persone incapaci[10]; esso infatti comprende:

  • sia il concetto di distacco totale e definitivo: volontà di abbandonare definitivamente l’animale;
  • sia i concetti di trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione: non prendersi più cura dell’animale, non adempiendo ai doveri di custodia e cura, con la consapevolezza dell’incapacità dello stesso di provvedere a sé come quando era affidato alle cure del proprietario.

Nel periodo estivo, in cui si raggiungono le punte massime di animali abbandonati, è importante che la sensibilizzazione contro il fenomeno dell’abbandono sia aumentata, ma è importante sottolineare che anche la trascuratezza e l’indifferenza verso la sorte del proprio animale[11] sono un reato.

NOTE

[1] “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro.”

[2] “Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.”

[3] Ad esempio gli animali d’affezione come gatti e cani.

[4] Ad esempio i pappagalli, le iguane, i serpenti o i cincillà (chinchilla).

[5] Si veda Cass. 13 maggio 2011, n. 18892.

[6] Con sentenza del 13 novembre 2009 il Tribunale di Lecce – Sezione Distaccata di Nardo – dichiarava M.G., imputato del delitto di abbandono di animali (art. 727 comma 1 c.p.) colpevole del detto reato e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di Euro 1.000,00 di ammenda.

[7] Indicazioni rinvenibili sul sito dei Carabinieri, al link http://www.carabinieri.it/cittadino/consigli/tematici/questioni-di-vita/amici-animali/animali.

[8] Trib. Arezzo, Sent., 19-06-2014.

[9] “Si evidenzia che non può escludersi la responsabilità penale della Sig.ra M. neppure se la stessa, prima di lasciare l’abitazione, avesse lasciato del cibo e dell’acqua al cane posto che è stato dimostrato che , al momento dell’intervento dei Carabinieri, il cane era privo di acqua e cibo ed era costretto a vivere tra gli escrementi e che perciò, quanto lasciato non era assolutamente sufficiente per il sopravvivere dell’animale”.

[10] In tali casi per abbandono va inteso non solo il mero distacco ma anche l’omesso adempimento da parte dell’agente, dei propri doveri di custodia e cura e la consapevolezza di lasciare il soggetto passivo in una situazione di incapacità di provvedere a sé stesso.

[11] Infatti nel caso in cui si assista ad un abbandono è importante essere parte attiva e fare in modo di segnalare l’avvenuto alle Forze dell’ordine, oltre ad assistere l’animale abbandonato, avvisando le autorità competenti.

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