La disciplina normativa a tutela della fauna selvatica. Il ruolo dei pareri ISPRA nella definizione dei calendari venatori

La conservazione della fauna selvatica e l'importanza dei calendari venatori: un approfondimento sulla normativa italiana.
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Mario De Masi

Laureato in Giurisprudenza, attualmente lavora come funzionario amministrativo al Ministero delle Cultura. Convinto sostenitore dei diritti degli animali, è attivista di Spazio Animale e volontario per ALI.

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La legge quadro n. 157 del 1992, Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio regolamenta l’attività venatoria (detta comunemente caccia) ed è stata più volte oggetto di modifiche e discussioni.
La legge detta innanzitutto i principi generali e le forme di tutela inderogabili che devono essere rispettati dai soggetti aventi competenza in materia. Ne consegue che, ad esempio, gli enti locali possono emanare leggi di dettaglio, rispettando quanto disposto dalla fonte statale. Quanto alle Regioni, esse possono emanare solo norme più restrittive per regolamentare la materia e hanno competenza per:

  • la redazione dei calendari;
  • le modalità ed i tempi di esercizio dell’attività;
  • i luoghi in cui può essere svolta la caccia, le specie che possono essere cacciate, i piani faunistici, ad esempio.

Fauna selvatica: patrimonio indisponibile dello Stato

L’articolo 1 della Legge quadro stabilisce che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e l’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non contrasti con la conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alla produzione agricola. Secondo la legge rientrano nella definizione di fauna selvatica tutti i mammiferi e tutte le popolazioni di uccelli che vivono, stabilmente o temporaneamente, in stato di naturale libertà su tutto il territorio italiano. Pertanto, nella definizione di fauna selvatica, sono compresi sia gli animali cacciabili che quelli non cacciabili. Sono esclusi insetti, talpe, topi, nutrie e arvicole.

La fauna selvatica viene fatta rientrare nella disponibilità dello Stato che ne è proprietario. Da ciò deriva non solo la facoltà di disciplinare attività quali la caccia, bensì anche l’onere di prevederne forme adeguate di tutela. La tutela così delineata non si ritiene tuttavia ascritta al singolo animale, in quanto individuo titolare di diritti inviolabili (tra cui appunto un presunto diritto alla vita, o alla vita in libertà, con conseguente obbligo di astensione della cittadinanza alla facoltà di praticare l’attività venatoria) bensì alla fauna come bene, di cui la conservazione costituisca un interesse a favore della collettività.

I calendari venatori e il ruolo delle regioni

La legge stabilisce pertanto, e come avevamo affrontato in un precedente contributo, dei limiti di tipo oggettivo e temporale, ossia l’attività venatoria può essere praticata solo ​​dalla terza settimana di settembre e fino al 31 gennaio. Limite temporale che viene, poi, a essere dettagliato. Infatti:

  1. la caccia dura 55 giorni l’anno;
  2. può essere praticata 3 giorni a settimana con martedì e venerdì come giorni di “silenzio venatorio”;
  3. il limite dei 3 giorni vale per il singolo cacciatore, ma la attività venatoria è consentita per cinque giorni su sette;
  4. l’attività venatoria ha inizio 1 ora prima dell’alba e termina​ 1 ora dopo il tramonto per quanto riguarda gli ungulati.

I cacciatori di selezione (i cosiddetti selecontrollori, cioè abilitati ad effettuare il controllo delle popolazioni dei selvatici in base ai piani stabiliti da Province e Regioni) ​possono esercitare anche al di fuori di tali orari, in alcune Regioni anche la notte e anche in aree protette, ai sensi della Direttiva Comunitaria 2009/147/CE.

Le Regioni devono pubblicare entro e non oltre il 15 giugno il calendario venatorio con il relativo regolamento annuale sull’attività venatoria e l’indicazione del numero massimo di capi che possono essere abbattuti in ogni singola giornata di caccia.

Il parere dell’ISPRA

I calendari venatori sono da sempre oggetto di forti discussioni e di decisioni dei giudici amministrativi. Sollevano, in particolar modo, critiche alla legge quadro 157/1922 nonché sono uno dei motivi che riaprono sempre la discussione, ormai più che decennale, del ruolo ricoperto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e soprattutto dei suoi pareri.
Il 2021 e il 2022 si sono caratterizzati per una serie di provvedimenti di accoglimento in merito alla sospensione dei calendari venatori di alcune regioni che prevedevano una pre-apertura, mettendo in risalto i pareri dell’ISPRA e il principio di conservazione della fauna selvatica.

​​L’ISPRA, sempre più di recente con i vari pareri espressi negli anni 2021-2022, consiglia l’apertura della stagione venatoria il 1° ottobre per quasi tutte le specie per motivi eterogenei quali:

  • evitare il rischio di confusione con altre specie non cacciabili;
  • favorire un più efficace svolgimento della vigilanza sull’attività venatoria;
  • ridurre il disturbo generato dalla presenza di un numero elevato di cacciatori sul territorio in una fase ancora delicata del ciclo biologico per diverse specie non sottoposte a prelievo venatorio.

Ebbene, il Tar di Milano, con ordinanza n. 01056/2022, per esempio, ha accolto la richiesta di sospendere l’inizio dell’attività venatoria il 18 settembre perché la Regione Lombardia non avrebbe motivato adeguatamente questa sua posizione di anticipare l’attività venatoria rispetto al termine indicato dall’ISPRA e, altresì, perché vi è il concreto pericolo di un danno grave e irreparabile all’ecosistema lombardo.

Sulla stessa scia la decisione del TAR Umbria che con Decreto n. 199/2022 ha disposto la sospensione dell’avvio della stagione venatoria che la Regione aveva fissato al 18 settembre, accogliendo totalmente la domanda cautelare avanzata dalle associazioni ricorrenti: WWF Italia, LIPU, Legambiente Umbria, LAV, LAC ed ENPA.
Il provvedimento è stato motivato dalla necessità di scongiurare «il paventato pericolo che l’apertura al 18. 9.2022 possa arrecare danni irreversibili al patrimonio faunistico» anche alla luce del fatto che «gli interessi di natura sportiva-privata […] appaiono tuttavia recessivi rispetto alla protezione faunistica».

Da queste due pronunce possiamo osservare il punto di contatto e frizione tra il parere ISPRA e la competenza delle Regioni. Questa situazione di “contrasto” è da un lato dovuta al ruolo (tutt’altro che chiaro) dell’istituto e dall’altro, dalla crescente attenzione e tutela giuridica verso gli animali.

Quanto al primo punto (ruolo dell’ISPRA e i suoi pareri) la giurisprudenza non ha tuttora trovato un orientamento uniforme sulla vincolatività del parere espresso dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca.

Tanto premesso, è chiaro, allora, come il tema dei calendari venatori diventa ancora più “caldo” sia perché le Regioni devono muoversi nel perimetro di competenza delimitato in primis dalla legge quadro 157/1992 sia perché i calendari, con la loro relativa regolamentazione, sono lo strumento che permette di incidere, nel concreto, sugli ecosistemi e sulla fauna selvatica.

Proprio in questa cornice la giurisprudenza ha affermato che i calendari venatori non possono discostarsi dal parere ISPRA senza un’adeguata motivazione. Quindi si può appurare che il parere dell’Istituto, sebbene obbligatorio ma non vincolante, ha nel tempo acquisito una certa valenza verso le amministrazioni, in primis le Regioni.

A tal proposito giova ricordare la Corte Costituzionale che, con sentenza 266/2010, ha  riconosciuto ai pareri dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, una diretta cogenza nei confronti delle Amministrazioni regionali richiedenti. In particolare, la Corte, ha sostenuto l’interpretazione secondo la quale il parere dell’ISPRA risponde a un’«esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, correlata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato al riguardo, ponendo così un drastico limite a interventi regionali forieri di recare pregiudizio agli equilibri ambientali», in violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.

Caccia e tutela degli animali in Costituzione

A “scompigliare” ulteriormente (e per fortuna) il tema caccia è la recente inclusione, nella nostra Costituzione, della tutela degli animali (art. 9, 3°comma).
Si tratta di un grande successo per il nostro Paese e soprattutto per la lunga lotta per il riconoscimento dei diritti degli animali. Questo passo è conseguenza anche dell’orientamento della normativa europea; infatti, l’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’UE precisa che: «[…] l’Unione e gli Stati Membri devono, poiché gli animali sono esseri senzienti, porre attenzione totale alle necessità degli animali, sempre rispettando i provvedimenti amministrativi e legislativi degli Stati Membri relativi in particolare ai riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali».

La tutela degli animali è un principio da poco introdotto, per cui necessita di apposite norme che concretizzino questo principio e di una giurisprudenza che, nel tempo, spiegherà la sua portata, attraverso una lettura sistematica del nostro ordinamento. Tuttavia alcune osservazioni possono già farsi.

La tutela degli animali potrà significare, nel tempo, il dover riconoscere anche gli stessi diritti che riconosciamo agli esseri umani, in quanto esseri viventi e senzienti e non cose. Per cui è necessario riconoscere ulteriori diritti degli animali fino a renderli veri e propri soggetti di diritto. In quest’ottica si pone un chiaro problema, ad avviso di chi scrive, con la disciplina venatoria.

​​La tutela degli animali non può prescindere dal non riconoscere gli stessi come soggetti di diritto, e quindi non è più concepibile che la fauna selvatica sia di “proprietà” dello Stato. Urge un graduale, ma necessario, cambiamento. La caccia a uccelli e mammiferi per motivi quali lo sport (perché la caccia è considerata tale) è compatibile con la tutela costituzionale di cui ora godono gli animali?

Merita di essere citata al recente sentenza del TAR Sicilia che ha sospeso la prosecuzione dell’attività venatoria, fino al 31 ottobre, nei confronti della tortora selvatica, accogliendo il ricorso di varie associazioni quali WWF, LAC, LIPU ed ENPA. I giudici palermitani hanno sottolineato che la prosecuzione dell’attività venatoria avrebbe ​​creato grave e irreparabile alla fauna selvatica (in particolar modo alla specie della tortora selvatica). Le motivazioni ludo-sportive che sorreggono la caccia non possono prevalere nei confronti della ​​tutela della fauna selvatica. Principio ulteriormente rafforzato ed elevato dalla tutela degli animali.

La tutela degli animali è ora valore costituzionale e la sua portata va chiarita ma anche estesa. Uccidere per sport, per il piacere o perché è una tradizione non può essere più consentito. Non stiamo parlando di altrettanti valori costituzionali da bilanciare, bensì parliamo di un’attività la cui fonte è la legge statale e nel nostro sistema, in virtù del principio gerarchico, la Costituzione è sovraordinata alla legge per cui quest’ultima non può andare in contrasto con la fonte primaria del nostro sistema. Un possibile punto di partenza, per il nostro legislatore e la nostra giurisprudenza (che per invero ha già fatto qualche passo in avanti in materia di tutela degli animali), può essere la meravigliosa decisione della Corte Costituzionale dell’Ecuador.

La Corte ha statuito, con la sentenza No. 253-20-JH/22 – “Caso Mona Estrellita” che gli animali selvatici sono soggetti di diritto a tutti gli effetti conferendo per la prima volta alla fauna selvatica i cosiddetti “rights of Nature  – diritti naturali”, estendendo a tutte le sue specie una protezione senza precedenti. Le specie selvatiche e tutti i loro individui hanno:

  1. il diritto di non essere cacciati, pescati, catturati, raccolti, estratti, detenuti, trattenuti, trafficati, commerciati o scambiati;
  2. il diritto al libero sviluppo del loro comportamento animale che include la garanzia di non essere addomesticati e di non essere costretti ad assimilare caratteristiche o apparenze imposte dagli esseri umani;
  3. il diritto di vivere in un ambiente salubre;
  4. il diritto all’integrità fisica, mentale e sessuale;
  5. il diritto all’alimentazione secondo le esigenze nutrizionali della specie, avendo accesso ad adeguate quantità di cibo e acqua per mantenerli in salute ecc.

Rivedere i contorni dell’attività della caccia può essere il primo passo per applicare e dare attuazione alla tutela degli Animali che è finalmente oggi un valore costituzionale. 

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